Uno degli ultimi liutai d’Italia: «Voglio creare una scuola per non far sparire una tradizione che all’estero ci invidiano»

Intervista a Mario Grimaldi: «Tanti giovani mi scrivono e io voglio lasciare loro quello che ho imparato. Chiedo aiuto agli enti locali per costruire una scuola civica»

Mario Grimaldi nel suo laboratorio

Mario Grimaldi, 56 anni, di Montaldo Bormida (Al) è uno degli ultimi liutai di strumenti pizzicati italiani, custode di una tradizione storica. Dopo una vita ricca di eventi fortuiti che lo hanno condotto ad esercitare con passione questo lavoro, oggi Grimaldi ha un sogno, come racconta a tempi.it: «Avviare una scuola civica nel paese in cui vivo, perché ricevo numerose richieste di ragazzi che vorrebbero imparare questo mestiere, ma nella mia bottega non ho spazio per insegnare a tutti loro. Non voglio che sparisca questa professione, l’Italia è ritenuta maestra dai musicisti professionisti di tutto il mondo, eppure pochi in questo paese lo sanno e poche istituzioni fanno qualcosa per la liuteria».

Come ha iniziato ad avvicinarsi a questo lavoro?
Sono nato in Calabria, in provincia di Crotone, a 13 anni mi sono trasferito in Lombardia e a 16 ho cominciato a lavorare il legno. Facevo il modellista in una ditta in cui si lavoravano i modelli delle scocche della Ferrari e ancora oggi il mio compagno di banco dell’epoca– in quella bottega si lavorava sui banchi da falegname – si reca personalmente a Maranello con i suoi lavori. In quegli anni ho iniziato a prendere lezioni di chitarra e contrabbasso alla Scuola civica di Milano, dove mi sono innamorato della chitarra. È stato il mio insegnante di musica a propormi di costruire il primo strumento. Mi mandarono a trovare Carlo Raspagni, il più grande liutaio di Italia, che ha fatto di Milano una capitale della liuteria pizzicata. Lui mi ha proposto di iscrivermi ad un corso serale e la passione, con il tempo, ha preso il sopravvento. Dato che i miei strumenti hanno iniziato a destare interesse, ho lasciato gli studi di chitarra e mi sono ritrovato a costruirle.

Non è più tornato nella sua natia Calabria?
Sì, nel 1998. Nel frattempo avevo messo su famiglia, e da Legnano mi sono trasferito in Piemonte, ma quell’anno ho sentito una forte nostalgia di casa, e ho pensato che era giusto portare al Sud quello che avevo appreso al Nord. Ci siamo trasferiti a Crotone con la mia famiglia: lì venivano a trovarmi molti musicisti popolari, principalmente suonatori di chitarra battente, lo strumento tradizionale. Questo mi ha stimolato a fare una ricerca su questi strumenti di cui avevo perso la memoria, anche se ricordavo che la suonavano i miei zii e i miei nonni. Mi sono messo a costruire la chitarra battente e la lira calabrese per due anni. Dopo due anni, per questioni legate agli studi dei miei figli, siamo tornati in Piemonte. La scelta di trasferirmi a Montaldo, anziché in una grande città, è dovuta al mio lavoro, che richiede molto silenzio.

Perché?
Il silenzio di questi luoghi è importante, soprattutto per la costruzione di strumenti a pizzico, come liuto, chitarra e mandolino: i suoni di questi strumenti sono molto esili, ed è importante mentre si lavora che non ci siano rumori di sottofondo o di ambiente.

E così giungiamo al presente. Come le è venuta l’idea della scuola di liuteria?
Più che un’idea è un’esigenza. In Piemonte non ci sono più scuole, e se in passato le botteghe dove si poteva fare l’apprendistato erano numerose, ora sono davvero quasi tutte scomparse. La più celebre scuola di liuteria è quella di Cremona, poi c’è ancora quella di Milano, ma per il resto non ci sono molte altre realtà. Mi piacerebbe offrire ad altre persone la possibilità che ho avuto io da ragazzino, con una scuola civica a Montaldo, ma avrei bisogno del sostegno del Comune. Ricevo diverse email di ragazzi che vorrebbero frequentare dei corsi, ma io in bottega non ho spazio per tutti loro. Per me insegnare è un modo di far vivere una tradizione, quella della liuteria, che è ritenuta dai professionisti una delle migliori al mondo.

Oggi la concorrenza con le grandi aziende straniere di strumenti è forte. Una chitarra fatta in Cina può costare solo 100 euro. Davvero l’Italia ha delle chance? Lei è l’ultimo di una lunga storia di luitai?
No, non sono l’ultimo ma siamo rimasti in pochi. Oggi dal liutaio va chi fa delle musica una scelta professionale, e il nostro lavoro è rimasto riservato ad una nicchia. Per realizzare una chitarra a mano mi ci vuole almeno un mese e mezzo di lavoro e i costi finali dello strumento variano da un minimo di 2mila euro fino a 6mila. Per gli strumenti industriali i costi si abbattono, dato che si usano materiali chimici. Se per chi inizia, lo strumento industriale può andar bene, però, chi conosce la musica sente la differenze nel legno e nella corda di una chitarra artigianale. Tra i chitarristi che vengono da me c’è il grande chitarrista classico venezuelano Alirio Dìaz (noto come uno dei migliori suonatori di chitarra classica al mondo, ndr.), il chitarrista ufficiale della Scala, Massimo Laura, che suona con un mio strumento, poi il compositore Angelo Gilardino. Ma ho ancora il desiderio che altri giovani si accostino a questo lavoro, e che non vada perduto.

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