L’indegno spettacolo della povera Yara a Porta a Porta

A Porta a Porta, il programma in seconda serata di Bruno Vespa, va in scena l'ennesima approfondita analisi sull'uccisione di Yara Gambirasio. Ma non è forse giunto il momento che i talk show televisivi tacciano su argomenti così delicati?

Dopo le puntate dedicate (in ordine cronologico) ai casi di Cogne, Perugia e Avetrana, da parte dei talk televisivi, cosidetti “d’approfondimento”, da “Porta a porta” a “Matrix”, da “Pomeriggio 5” a “La vita in diretta”, e sicuramente dimentico qualche titolo, pensavamo di essere vaccinati a qualsiasi altra scorribanda della cronaca nera in televisione.
 Non è stato così!
 In queste ore sui forum specializzati e nelle rubriche “lettere al direttore” dei quotidiani, si sta assistendo a un moto generale di sdegno per come l’ultimo dramma che si è consumato: il ritrovamento del corpo senza vita di Yara Gambirasio, la ragazzina scomparsa nel bergamasco da tre mesi, sta venendo trattato dai soliti noti del giornalismo televisivo.

 


Soprattutto le proteste sono rivolte alle serate che prontamente (forse troppo!) Bruno Vespa ha condotto con la tradizionale compagnia di giro: la criminologa, lo psicologo, il giudice, l’opinionista.
 E lo confermiamo: la protesta è sacrosanta!
 Come ha potuto la tivù di Stato stare al gioco cinico e irrispettoso dei sentimenti popolari, mentre il mondo “reale” era attonito e in silenzio, mentre nelle stesse ore si svolgevano nei luoghi del delitto celebrazioni religiose di suffragio; come ha potuto la RAI lasciar costruire l’impalcatura mediatica dell’ennesima “fiction”, sotto le spoglie dell’indagine giornalistica, come se si avesse l’urgenza di anestetizzare la tremenda “realtà”, con chiacchiere vuote che cercavano di spiegare l’inspiegabile, riducendo tutto alla meccanica del delitto, raccontando senza pudore di corpi decomposti, vestiti strappati e coltellate assassine.
 E’ questa l’informazione che vogliamo?
 O è l’ansiosa ricerca di un “limbo straniante” che renda banale la realtà della vita e della morte, destrutturandola per poi ricostruirla come uno sceneggiato giallo, come un normale telefilm?


 

Non è giunto il momento di chiedere che simili fatti vengano raccontati solo negli spazi giornalistici adeguati, cioè nei telegiornali? 
Nel caso specifico, l’epilogo tragico della scomparsa di Yara ha come liberato il sentimento di prostrazione di chi non ha potuto parlarne in questi mesi, sottostando al perentorio silenzio stampa chiesto dalla famiglia e dal divieto di scorazzare per Brembate con telecamere e microfoni, ordinato dal sindaco di quel paese; sentimento inconsapevolmente (speriamo) rancoroso, che è stato linfa per lo scempio a cui abbiamo assistito come telespettatori. 
E’ ora che la tivù, pubblica e commerciale, si ripensi e diventi (ridiventi?), strumento di informazione rispettosa del sentimento che il popolo sente più vero: la pietà. 
 

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