Libia: tutto il mondo è contro Gheddafi ma le posizioni sono contrastanti

L'ipotesi di una "no-fly zone" sui cieli della Libia divide i paesi europei, il congelamento dei beni è approvato da Onu e Ue ma la Libyan Investment Authority, che gestisce un fondo sovrano i cui asset sono valutati fra i 60 e gli 80 miliardi di dollari, non viene congelata. Anche il summit europeo, dichiarato urgente il 28 febbraio, si terrà solo l'11 marzo

Il processo di isolamento internazionale del regime di Muammar Gheddafi prosegue, con l’inerzia di uno slittamento geologico: dopo una settimana di provvedimenti punitivi assunti da americani, europei e Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ieri la Libia è stata espulsa dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu con un voto per alzata di mano. Ma ad un orecchio più attento le prese di posizione della comunità internazionale comunicano un’estrema cacofonia.

Al Consiglio di sicurezza era stata sollevata anche l’ipotesi dell’istituzione di una “no-fly zone” sui cieli della Libia, destinata a rendere effettivo l’embargo sull’ingresso di armi da guerra e mercenari nel paese e a impedire eventuali bombardamenti da parte delle forze fedeli al governo contro le popolazioni ribelli. Il primo ministro inglese David Cameron ha rilanciato con entusiasmo il progetto, ma le reazioni degli altri paesi, con l’eccezione degli Stati Uniti, sono andate dal tiepido al freddo. La più gelida è stata quella della Turchia, che esprime riserve anche riguardo alle sanzioni e giudica «un’assurdità» l’ipotesi di un intervento anglo-americano.

«Il Medio Oriente e l’Africa sono stati considerati dall’Occidente pedine delle guerre per il petrolio per decenni», ha dichiarato il primo ministro Erdogan, premiato da Gheddafi lo scorso anno. «Qualunque genere di sanzione o di intervento che punisca il popolo libico è inaccettabile e causerebbe enormi problemi». Si consideri che Cameron ha evocato anche la possibilità di rifornire di armi gli insorti e di inviare i corpi speciali dell’esercito nel deserto libico a mettere in sicurezza presunti depositi di armi chimiche.

A metà strada fra le due posizioni estreme di Londra e Ankara ci sono quelle degli altri paesi, che hanno approvato le sanzioni Onu e/o quelle dell’Unione Europea, ma non se la sentono di impegnarsi sul versante più propriamente militare: secondo il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov la “no-fly zone” è «superflua»; secondo i francesi «non è una priorità», per non parlare dell’ipotesi di un intervento al fianco degli insorti, che secondo il neo-ministro degli Esteri Alain Juppé sarebbe «estremamente controproducente», perché farebbe il gioco della propaganda di Gheddafi che asserisce la regia di mani straniere dietro l’insurrezione.

L’Unione Europea ha deciso il congelamento di beni, proprietà e finanze libiche, ma con una strabiliante eccezione: la Libyan Investment Authority, che gestisce un fondo sovrano i cui asset sono valutati fra i 60 e gli 80 miliardi di dollari
. Solo i britannici, con decisione autonoma, hanno congelato un hedge fund del valore approssimativo di 3,5 miliardi di euro promosso a Londra l’anno scorso dalla Libyan Investment Authority. Poco chiaro del resto è il modo in cui concretamente il congelamento funzionerà per gli asset finanziari: Finmeccanica, nella quale il governo libico vanta una partecipazione del 2 per cento, ha dichiarato che la legge italiana non le permette di rifiutare di pagare i dividendi delle sue azioni di proprietà libica. Nel Regno Unito le edizioni Pearson, proprietarie fra l’altro del Financial Times, hanno annunciato di aver trovato il modo di congelare una partecipazione libica del 3 per cento nella loro azienda, compreso il versamento dei dividendi. Richiesti del perché la Libyan Investment Authority non sia stata inclusa nei soggetti sottoposti a sanzione, dirigenti della Ue hanno dichiarato che le azioni legali necessarie a rendere effettiva l’inclusione dell’entità governativa libica nell’elenco avrebbero richiesto troppo tempo, lasciando l’impressione che gli europei non erano in sintonia con Onu e Usa.

Terzo esempio di cacofonia è il summit europeo sulla crisi libica: invocato come urgente da Francia e Regno Unito il 28 febbraio, si terrà soltanto l’11 marzo a Bruxelles, data in cui era già previsto un altro appuntamento su temi economici. A frenare sono state Germania e paesi dell’Est, che temono trasferimenti di risorse verso l’area mediterranea.

In tutto questo, l’alto rappresentante per la politica estera della Ue Catherine Ashton ha continuato a muoversi con impaccio e ritardo. Non è riuscita a imporre una data più ravvicinata per il summit europeo sulla Libia, è stata preceduta dalle dichiarazioni del segretario della Nato Anders Rasmussen su un eventuale ruolo della Nato in operazioni umanitarie di soccorso a stranieri e libici nell’area (materia di competenza della Ue, non della Nato), ed è stata pure preceduta dal connazionale David Cameron, che per una questione di 24 ore le ha strappato il titolo di primo rappresentante di un paese dell’Unione Europea sceso in Egitto a esprimere volontà di cooperazione con le nuove autorità. Intanto le navi da guerra americane si avvicinano alle coste libiche.

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