Lettera di Totò Cuffaro a Tempi. «Il carcere non può impedirmi lo sguardo verso l’alto. Ho bisogno di vedere il cielo»

Lettera dell'ex presidente della Sicilia oggi nel carcere di Rebibbia. «Mio caro Luigi, sì, è vero, sono molto stanco e provato, ma ce la farò». Risposta del direttore

Carissimo Luigi,
devo confessarti che sono molto stanco, anche se so che devo trovare le forze e le energie necessarie ad affrontare questa rimanente parte di pena che devo ancora scontare. Sono consapevole che questo tempo che vivo, in questo luogo in cui mi trovo, gli incontri che faccio, le persone come te che mi vogliono bene, il bene e il male che il destino mi ha dato da vivere, è proprio tutto ciò che mi rende uomo, ogni giorno nuovo.
Ed è anche questa esperienza, difficile, pesante, faticosa, ma nella fede, che sto facendo, che contribuisce a farmi essere me stesso, e io l’accetto, perché in essa il Buon Dio mi assegna un posto nel mondo. Sto lottando e non mi trasformerò in un uomo di “sbarre”, vivo, penso, scrivo, mi prodigo per aiutare chi ha più bisogno, prego.

La mia cella, sede obbligata della mia riflessione, faccio che sia non il simulacro della mia anima, ma il santuario della mia coscienza. E in fondo ho scoperto che “le sbarre” sono le meno inanimate tra tutte le cose che ci offre e a cui ci obbliga il carcere. Lottiamo, non ci arrendiamo, speriamo che prima o poi lo Stato, e per lui le carceri, si rendano contro che le storie degli uomini detenuti non sono solo le storie di corpi ma sono soprattutto storie di anime. I corpi possono essere “custoditi e ristretti” ma le anime vanno rispettate nella loro essenza umana e spirituale.

Mio caro Luigi, sì, è vero, sono molto stanco e provato, ma ce la farò. Guardo e vedo il mio pezzo di cielo di giorno e mi aiuta, e durante l’ora d’aria, guardo la rimanenza di esso, lo vedo tutto intero, il carcere non può impedirmi lo sguardo verso l’alto, almeno questo è libero, non circoscritto. Non vedo ormai da quasi tre anni il cielo tutto intero di notte, di notte non c’è l’ora d’aria, guardo e vedo solo il pezzo di cielo che la cella mi consente ed il carcere mi assegna. Ho bisogno di vedere il cielo tutto intero di notte, con la luna e le stelle.

Ho finito di scrivere il mio secondo libro in carcere, Il santuario di sbarre, spero che tu possa leggerlo prima del prossimo Natale e spero di potertene fare avere una copia con una giusta dedica, dovuta agli amici, alle persone buone. Mi serve scrivere, scrivendo parlo a me stesso e mi rivolgo alla mia memoria per vedere ed avere quello che il carcere mi vieta e mi impedisce. Non serve invece dividere il tempo, tanto deve passare tutto intero. Non serve neanche mischiare il tempo attuale col tempo remoto e con quello futuro, se non a ricordare e provocare dolore. Serve invece uscire dal carcere e conservare lo stesso stupore col quale sono entrato. È la presenza comprensiva, consolatoria, d’aiuto e d’amore, di Gesù misericordioso in mezzo a noi, che mi darà la forza e guiderà il mio cammino.
Ce la farò.
Grazie ancora amico mio, ti voglio bene.

Totò Cuffaro, Rebibbia

Quando penso ai miei 57 anni mi trovo addosso una sola notizia: quella che ci dai tu caro amico e che supera sbarre e tempo, poiché è l’unica notizia vera, certa, reale, di cui è intessuto il tempo e che genera quell’umano che sfonda tutte le sbarre (siamo infatti per un certo senso più carcerati noi qua fuori, pensiamo a quel che si legge e si scrive sugli esseri umani, ormai indistinti dall’amorfo e dai cani), «la presenza comprensiva, d’aiuto e d’amore, di Gesù misericordioso in mezzo a noi». Oh, invincibile compagnia! Grazie amico Totò.

@LuigiAmicone

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