Le sfide – Dal nuovo mix energetico al piano alluvioni

"Bisogna prepararsi al momento nel quale per alimentare la ripresa sarà necessario avere disponibile una buona quantità di energia proveniente da fonti possibilmente non inquinanti". Anticipiamo l'editoriale di Paolo Togni presente nel numero 10 di Più Mese

Nonostante quello che dicono gli squallidi sostenitori del pauperismo e della recessione, e il lugubre corteo dei maltusiani d’accatto che vanno imperversando anche sulle pagine dei principali quotidiani, senza energia non c’è miglioramento della qualità della vita, cioè progresso. Di più, il miglioramento spettacolare di tutti i parametri della vita individuale ed associata non sarebbe stato possibile senza una grande disponibilità di energia a basso costo. Se negli ultimi cento anni la popolazione è aumentata di sette volte, e il prodotto totale del mondo almeno dieci volte tanto, ciò è avvenuto perché la disponibilità di idrocarburi pagati poco l’ha consentito. Oggi la fine della risorsa petrolio non è imminente, come annunziano (da quarant’anni) alcuni menagramo conformisti, tuttavia non sembra inopportuno preoccuparsi di prevedere una maggiore articolazione delle fonti di produzione nel settore. Come ogni fenomeno, lo sviluppo ha anch’esso due facce: e così il grande progresso è avvenuto al prezzo di un inquinamento significativo, che è uno dei principali problemi ambientali che stiamo affrontando.

Pur nell’attuale fase critica della nostra economia, tuttavia, a salvaguardia delle nostre possibilità di crescita nel futuro, bisogna prepararsi al momento nel quale per alimentare la ripresa sarà necessario avere disponibile una buona quantità di energia proveniente da fonti possibilmente non inquinanti, per seguitare a salvaguardare e migliorare la qualità dell’aria che respiriamo; occorre poi anche rivedere la struttura del mix di energie che dobbiamo utilizzare. Non sono un fanatico delle energie rinnovabili, che sono economicamente non convenienti, e comunque da sole non possono far fronte alle nostre esigenze; occorre tuttavia riconoscere che il loro sviluppo dovrà accompagnare il nostro cammino, almeno fino al momento in cui l’inventiva della nostra razza sarà in grado di scoprire una nuova, oggi insospettata, fonte energetica. Certo appare ridicola e spropositata la somma impiegata nel nostro paese nel 2010 per sovvenzionare la produzione di energia fotovoltaica: 700 milioni di euro per produrre lo 0,5 per cento del fabbisogno elettrico nazionale, oltretutto in gran parte finiti a finanziare i produttori cinesi di pannelli.

Lodevole invece quello che sta facendo l’Enel, cioè l’introduzione di centrali a carbone: quelle di ultima generazione (ad esempio l’impianto di Torrevaldaliga a Civitavecchia) emettono poco e producono elettricità a costi molto ragionevoli. Naturalmente scontano l’opposizione degli “ambientalisti”, con tutti gli ostacoli e i ritardi che questo comporta. Alla luce di quanto sopra, il mix ideale delle fonti di energia deve vedere una molto rafforzata presenza del carbone, il mantenimento della quota di gas, una rafforzata presenza (a incentivi assai ridotti) di fotovoltaico, l’eolico che può sostenere i suoi investimenti con bassi incentivi, e tutto l’idroelettrico possibile; anche la fonte geotermica andrebbe potenziata: una parte degli incentivi al fotovoltaico potrebbe essere destinata a promuoverla. Naturalmente, a proposito di incentivi, la stabilità e la certezza della normativa sono essenziali allo sviluppo di un serio sistema industriale.

Prevenire gli straripamenti
L’altro grande problema ambientale dei nostri giorni è il dissesto idrogeologico, che negli ultimi tempi ha causato una serie di drammatici disastri originati dalle precipitazioni. Tali eventi non sono nuovi, ma solo la  ripetizione di una situazione destinata a perpetuarsi fin quando non si deciderà di fare investimenti d’importo adeguato in lavori ben progettati ed effettivamente eseguiti, secondo criteri che non hanno bisogno di essere scoperti, essendo ben noti e praticati in tutti i paesi civili. La prima cosa da fare è la programmazione e la progettazione degli interventi per mettere in sicurezza il territorio: deve essere effettuata in riferimento a un territorio ampio, che includa tutti i bacini imbriferi che recapitano nella zona: il soggetto elettivo per questo compito è, nel rispetto della normativa comunitaria, l’autorità di distretto idrografico. Purtroppo tale soggetto, introdotto nel nostro ordinamento nel 2006, per l’ignavia, l’insipienza o l’incapacità delle successive amministrazioni non è mai stato effettivamente organizzato.

Quanto poi all’esecuzione, abbiamo la dimostrazione storicamente provata che comuni, comunità montane ed enti di livello paragonabile non sono assolutamente in grado di garantire nulla quanto ad efficacia e tempestività degli investimenti. Da un’indagine svolta nel 2005, risultarono impegnati meno della metà dei fondi stanziati prima del 2000, che non erano certo moltissimi, ma neanche pochi, trattandosi di alcuni miliardi di euro: quello che occorre è quindi un soggetto di  livello nazionale sotto assoluto controllo pubblico, non burocratico, che realizzi bene e velocemente le opere assegnatogli. Occorre anche intervenire sulla normativa, per esempio rendendo più semplice la pulizia e la manutenzione dei corsi d’acqua, oggi resa sostanzialmente impossibile da una normative ideologica e ignorante. Futuro dell’energia con l’annesso della qualità dell’aria e dissesto idrogeologico sono i problemi ambientali oggi più importanti. Problemi che non si risolvono con la demagogia né con l’ignoranza, che hanno bisogno di giusta ponderazione e di un’azione amministrativa continua e sapiente: qualcuno sa a chi rivolgersi?

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