Le macabre sparate di Hamas&Hezbollah e l’ostinato giustificazionismo di D’Alema

Un tema su cui ho aperto la rubrica nel 2008 è stato il dramma dei soldati israeliani rapiti da Hezbollah e Hamas e di cui nessuno sa nulla da un anno e mezzo, il silenzio e l’assenza di reazioni attorno a questa vicenda, soprattutto da parte di chi è invece prontissimo ad accusare Israele di tutte le nefandezze del mondo. Il primo esplicito “intervento” sul tema è venuto dallo sceicco Nasrallah, capo di Hezbollah, che ha dichiarato che il suo movimento detiene pezzi di cadaveri di soldati israeliani: piedi, gambe, teste e persino un tronco. Non ha specificato quali siano le modalità di conservazione. A un simile proclama, degno di un serial killer, non ha reagito quasi nessuno. Le teste si sono girate dall’altra parte. Nel mondo islamico non si è levata una sola voce, nessuno si è vergognato o ha sentito l’esigenza di prendere le distanze, almeno per salvare la faccia. Eppure ci si trovava di fronte alla prova tangibile che i proclami e le “carte costituzionali” (come quella di Hamas) che stabiliscono l’obiettivo di trucidare ogni ebreo a tiro non sono chiacchiere. Sarebbe stato naturale che la delegazione musulmana che si accingeva a visitare la Sinagoga di Roma almeno prendesse le distanze pubblicamente. E invece, per tutta risposta, la visita è stata annullata, sotto la pressione della dichiarazione di un esponente di spicco dell’Università al Azhar, secondo cui «il dialogo con l’ebraismo non è contemplato finché non saranno restituiti i diritti a chi ne è titolare». Come ha spiegato Magdi Allam, questo significa semplicemente: finché la Palestina non sarà interamente sottratta agli ebrei.
Che cosa si sarebbe detto se l’esponente di un’altra religione (per esempio un cristiano) avesse fatto dichiarazioni come quelle di Nasrallah e nessuno le avesse deplorate, rincarando anzi la dose con la cancellazione della visita alla Sinagoga sotto lo stimolo di un intervento come quello proveniente da al Azhar? Sarebbe scoppiato uno scandalo di proporzioni enormi.
In questo contesto drammatico, di fronte al continuo lancio di missili da Gaza sui territori israeliani, le inevitabili reazioni di Israele vengono stigmatizzate dal nostro ineffabile ministro degli Esteri, secondo il quale se «nessuno può giustificare il lancio di missili da Gaza», allo stesso tempo «la punizione collettiva di un’intera popolazione, attraverso il taglio di servizi essenziali, tramite misure che mettono in discussione persino il funzionamento degli ospedali non può essere compresa». A prescindere dal fatto che questo taglio ha avuto finora un’entità molto limitata e che la responsabilità dell’esodo di palestinesi da Gaza verso l’Egitto ricade tutta su Hamas, sarebbe interessante sapere da D’Alema che cosa farebbe lui al posto di Israele, a parte lasciarsi bombardare senza reagire. Ma soprattutto si vorrebbe sapere da lui come vada definito il lancio di missili che ha praticamente ridotto la città di Sderot a una città fantasma, da cui la gente fugge perché è diventato difficilissimo viverci. Colpire la popolazione civile di un’intera città, in modo indiscriminato non è forse una “punizione collettiva”? Se non si ammette questo, vuol dire che si considerano i civili israeliani alla stregua di militari, ovvero si accetta la tesi dei terroristi. Questo è l’uomo che taluni descrivono come un vertice di intelligenza e di razionalità. La verità è che si tratta di una mente ottenebrata dall’ostilità e dal pregiudizio. La buona notizia è che il paese non sarà più rappresentato da un siffatto ministro degli Esteri.

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