Le imprese siano più combattive, visto che lo Stato si fa cinicamente gli affari suoi

Pubblichiamo l'editoriale di Oscar Giannino, uscito sullo speciale di Tempi Più Mese dedicato alle Pmi col titolo "Più export. Costruiamo lo sviluppo sui mercati internazionali".

Pubblichiamo l’editoriale di Oscar Giannino, uscito sullo speciale di Tempi Più Mese dedicato alle Pmi col titolo “Più export. Costruiamo lo sviluppo sui mercati internazionali”.

Lo speciale che dedichiamo alle Pmi si sforza di aggiornare la condizione poco invidiabile dei problemi con i quali esse devono misurarsi, nella più grave crisi italiana del secondo Dopoguerra. Mi limito qui a svolgere tre sole osservazioni, per il resto rinviandovi agli articoli e alle interviste.

La prima è relativa all’area in cui la crisi più morde, cioè il mercato domestico, i tre quarti del Pil italiano. È una crisi non congiunturale, com’era quella 2008-2009 dovuta al calo rilevante della domanda estera. È una crisi strutturale. Alle tante ragioni accumulate in un ventennio di perdita continua di produttività e competitività multifattoriale – costi energetici, gap infrastrutturale e logistico, cuneo fiscale elevato, giustizia inefficiente etc. – si sono sommate tre condizioni aggiuntive, che ci fanno perdere più punti di prodotto della Spagna che pure aveva da smaltire una bolla immobiliare di 30 punti di Pil. L’enormemente accresciuta pretesa fiscale – il gettito nominale 2006-2012 aumenta di 141 miliardi di euro a fronte di un Pil nominale che per la componente emersa-legale è aumentato solo di 121 miliardi – poi la stretta del credito e infine la catena sempre più pesante dei cattivi pagatori. Tre fattori che disegnano uno scenario di reddito e consumi domestici in contrazione per tempi ancora lunghi. Questo spiega perché l’enfasi di questo numero speciale sia volta all’internazionalizzazione del sistema, delle filiere e delle reti. Ognuna di queste tre dimensioni diverse postula innovazioni profonde, che qui cerchiamo di approfondire. Anche se siamo già a una quota record tra tutti i paesi avanzati, dobbiamo ulteriormente innalzare la quota di piccole imprese che in filiera contribuisce all’export italiano, l’unica grande voce che continua a spingere verso l’alto l’output potenziale italiano.

La seconda dimensione è quella della crisi del credito. Penso, su questo, e lo scrivo con rammarico, che le rappresentanze associative d’impresa abbiano sin qui non colto una doppia questione. La mera, dura e giustificatissima denuncia della restrizione di credito lascia, purtroppo e ormai, il tempo che trova. Avrei preferito un duplice franco discorso, da parte della rappresentanza d’impresa. Ha senso tenere bordone, da parte del regolatore e del Tesoro che ha la vigilanza sulle fondazioni bancarie, al fatto che queste ultime non hanno risorse per ricapitalizzare le banche, quando la loro debolezza patrimoniale si traduce in meno impieghi ad aziende e famiglie? E perché lo Stato nel frattempo deve fermamente indurre le banche ad acquistare carrettate di titoli del debito pubblico ad ogni asta, se questo significa immobilizzare ulteriormente riserve di capitale, ergo ancora minori impieghi? Un atteggiamento più combattivo da parte delle imprese mi sembrerebbe assai più giustificato, visto che lo Stato antepone cinicamente i suoi interessi a quelli di tutti.

Infine, una terza osservazione. Dalla difficoltà patrimoniale e reddituale della piccola impresa si esce con innovazioni tecniche che devono anche essere all’altezza delle difficoltà, cioè straordinarie. Il totale delle tax expenditures del nostro paese, oltre 280 miliardi di euro l’anno, va riconcentrato non a copertura di maggiori spese, come si proponeva di fare il governo nella sua Legge di stabilità, ma a favore di tre sole priorità: crescita, innovazione e internazionalizzazione della piccola impresa; sostegno alla famiglia; sostegno a chi perde il reddito e non rinuncia all’inserimento in politiche attive per la rioccupabilità.

Oltre a decisioni straordinarie di finanza pubblica a saldo zero a favore della piccola impresa, occorrono anche strumenti altrettanto straordinari di finanza privata. Per esempio le leveraged shares e i leveraged bonds, titoli da riservare ad acquisti a margine, cioè non a totale copertura del prezzo, e i cui dividendi o rendimenti sono inversamente proporzionali agli andamenti societari e di mercato, in maniera tale da offrire buffer di capitale invece di fonti inaridite quando le cose vanno male. È una proposta di Bob Shiller che andrebbe estesa a molti emittenti a cominciare dagli Stati, ma è tagliata apposta per le piccole imprese, se solo qualche banca italiana capisse che il mondo nuovo ha bisogno di una finanza nuova…

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