Le chiese? Han bisogno di un Giotto

Il direttore dell’Ansa presenta l’arte sacra di Bruno Grassi, pittore moderno per tecnica, medioevale per spirito. Per dimenticare le chiese-autogrill

arte cristiana, dopo quindici secoli di tradizioni spesso sublimi, sembra essere scomparsa dalla chiese. Non l’apprezzano i sacerdoti: ciò che non ha fatto l’iconoclastia, riesce a produrla l’indifferenza. La trascurano gli architetti che sono portati, sia pure con rimarchevoli eccezioni, a realizzare chiese che assomigliano più ai grill autostradali o ai palazzetti dello sport anziché a luoghi di raccoglimento e preghiera. Le chiese moderne infatti sono spesso asettiche, con pareti incolori («impermeabili alla gioia» direbbe Gorge Steiner) e restie ad accogliere qualsiasi tipo di opera d’arte. Le chiese moderne, infatti, realizzano un contesto ambientale da mobile svedese, esteticamente pulito ma privo di umanità, di fisicità, di identità. Ed infine l’arte sacra non la sentono nemmeno gli artisti che sono sempre più attratti dal nichilismo dei nostri tempi e, sul piano tecnico, non sono più in grado di affrontare le grandi superfici.

Mosso, sommosso, commosso
Bruno Grassi ha deciso di andare controcorrente. Dopo decenni di produzione pittorica laica ha scelto l’arte sacra come suo strumento di elezione. Il genere non è facile. Soprattutto perché, su questi temi, la produzione pregressa, non solo è imponente, ma anche di straordinaria qualità. Grassi dice: «Dopo Il crepuscolo degli dei di Luchino Visconti è difficile riprendere, nel cinema, il tema della dissoluzione fisica e morale dei leader del Terzo Reich senza cadere in un remake del capolavoro viscontiniano. E si tratta di un solo film. Immaginarsi allora quali siano le difficoltà, per un artista, nel trovare delle vie alternative a quelle già esplorate su specifici temi neo-testamentari, da pittori del calibro di Giotto, Masaccio, Beato Angelico, Michelangelo, Raffaello e via elencando fino ad arrivare a Matisse. Una sfida difficilissima, questa, alla quale, però, complici anche i trent’anni di mestiere che ho alle spalle, non mi sono voluto sottrarre». Il convincimento di Bruno Grassi è che anche l’uomo di oggi ha bisogno di essere «mosso, sommosso e commosso», come diceva, dell’arte sacra, Salvator Dalì. L’arte sacra deve essere in grado di parlare al cuore e alla mente. Deve essere un’arte che sappia evocare i misteri dell’esistere, che sia in grado di indurre alla preghiera, al raccoglimento, all’abbandono, alla coabitazione con il mistero.
«L’arte sacra – dice Grassi – non può essere informale, astratta. Certo, non può nemmeno limitarsi ad essere meramente illustrativa. Ma, in ogni caso, deve assumersi anche il compito di narrare, com’è sempre avvenuto in passato. E lo deve fare in modi nuovi, contemporanei, espressivi dei nostri gusti e delle nostre sensibilità. Può sembrare un caso (ma non lo è) che io, per realizzare le mie ultime grandi tele ad olio di soggetto religioso, sia ricorso al formato cinemascope. Un formato cioè al quale sono abituati i nostri occhi di inesausti e saturati fruitori di immagini contemporanee».

“Per lo tuo caldo”
Nel formato cinemascope, ad esempio, è stata dipinta l’“Annunciazione” (foto in alto). In questo caso, Bruno Grassi, riesce ad interpentare lo sconvolgente mistero dell’annuncio. Il quadro è cosmico. La natura è come se fosse sospesa nello stupore di un evento indescrivibile sia con le parole che con le immagini. «Grassi è un grande artista anche perchè non è un pittore univoco, perentorio, esplicito. È un pittore che si può leggere in tanti modi, che va decifrato, dialogato», scrisse di lui Marco Valsecchi, curatore di Biennali di Venezia quando queste erano una cosa seria. Grassi infatti non impone la sua verità, ma la suggerisce, ben sapendo che essa è spesso complessa e alle volte contraddittoria. Nella sua “Annunciazione”, ad esempio, Grassi riserva alla Madonna un piccolo spazio, a sinistra del dipinto, ai margini del racconto pittorico. Ma per una di quelle inconscie magie espressive di cui Grassi è maestro, la Madonna, che per motivi grafici e compositivi sembra stia defilata nel dipinto, in effetti ne costituisce il centro, il perno e il fulcro. Non il centro fisico, ma il centro tematico.
Per converso, l’angelo dell’annuncio, che pure occupa gran parte del quadro, viene in effetti percepito come un elemento accessorio. Annuncia sì, ma l’imperatività e l’ineluttabilità del suo messaggio sono sterilizzati dalla sua silouhette e vengono concentrate nel dito indice della sua mano. La Madonna invece accoglie l’annuncio con lo sterminato stupore del suo viso ma soprattutto con la mano destra che, dall’incredulità terrorizzata, sembra dilatarsi e deformarsi sul suo petto. Nello sfondo, le nubi corrusche (ma che danno un senso di abbandono da compiutezza di un evento che si è verificato come doveva accadere), le nubi, dicevo, sembrano confondersi, pur rimanendone distinte, in un paesaggio complesso (abitato o no? Entrambe le ipotesi restano in piedi). Ecco perché si può parlare, come ha fatto Chombart de Lauwe di «una lettura interattiva dei quadri di Grassi». Una lettura con la quale chi vede il quadro, non subisce il dipinto ma ne viene coinvolto, nel senso di interrogato, di messo in gioco. Non più solo come spettatore ma anche come interprete.
Anche la “Natività” (foto in alto), che un famoso storico dell’arte, il professor Ferdinando Arisi, già docente alla Università Cattolica, non ha esitato a definire «un vero capolavoro», nasce con il medesimo intento. Il soggetto è uno dei più frequentati dagli artisti di ogni tempo. Gli spazi di manovra per essere diversi sono limitati. Ma Bruno Grassi c’è riuscito centrando la tela sull’immagine della Madonna: una ragazza fragile ma possente, obbediente protagonista di un evento molto più grande di lei, destinato a cambiare il mondo. Di fianco, come quinte, ci sono, da una parte, San Giuseppe, testimone silenzioso di un evento che lo ammutolisce ma che accetta per obbedienza e devozione. E poi il bue e l’asino, la forza biologica del mondo, accodata all’evento. L’asino sembra avvolgere, con il suo alito amterico, Gesù Bambino, mentre il bue pare uscire dal quadro con il suo muso acquoso e i suoi occhi esoftalmi, placidamente interrogativi.

Consummatum est
E ci voleva l’originalità di Bruno Grassi per interpretare, in “Consummatum est”, la morte di Gesù Cristo sul Calvario. In questo quadro Gesù Cristo non c’è. Resta solo la scena del suo martirio e l’impronta del suo sacrificio. Ai piedi del quadro, su di un piano che pare quello di un altare, ci sono una corona di spine, dei chiodi ricurvi, un martello, una tenaglia e delle macchie di sangue raggrumato. Ma la scena non è truculenta, bensì estaticamente attonita. Le nubi sono da fiaba. Le piante in controluce sembrano stilizzate dall’assenza del vento. Il sipario che incombe sulla scena è fisso come se fosse ingessato. È avvenuto un evento tragico. Ma anche un evento che doveva avvenire. Ineluttabile, previsto e finalizzato. La natura, nel “Consummatum est” di Grassi, ha ritrovato la sua quiete. È come se tutto fosse sospeso. La tristezza sembra alle spalle. Il tempo si è fermato. Ma la storia, ferma, può adesso riprendere il suo cammino che, per i credenti, è radicalmente diverso rispetto a prima. Il sangue, i chiodi, il martello, la tenaglia, la corona di spine hanno svolto il loro compito infame ed ora non esprimono più la belluina violenza passata ma la rassegnazione (soddisfatta? o semplicemente capibile) di avere contribuito a adempiere ad un disegno ineluttabile, da sempre predefinito, indispensabile all’umanità.

Maria, la donna che ho incontrato
Un tema molto caro e molto studiato da Bruno Grassi, nell’ambito dell’arte sacra, è quello della Madonna. A questo tema ha dedicato molte tele: «Dipingere la Madonna – dice Grassi – è un’operazione appassionante di alta acrobazia artistica. Bisogna infatti dipingere una giovane donna piena di fascino che, nello stesso tempo, non sia per nulla sex appealing. Dissociare la bellezza dal sex appeal non è una difficile operazione grafica ma contenutistica. Dipende dall’approccio che si ha con il mistero della Madonna, una donna, una donna in carne e ossa, che è diventata lo strumento per dare la vita a Dio. Una donna quindi totalmente uguale e totalmente diversa da tutte le altre. A me riesce naturale uscire non soccombente da questa sfida perché il mio approccio alla Madonna è quello del credente e del devoto. Le Madonne che dipingo hanno i volti di tutte le donne che ho incontrato o immaginato. Rappresentano l’essenza della femminilità in termini di dolcezza, disponibilità, comprensione. E per me costituiscono il principale tramite attraverso il quale la gente raggiunge Dio». Grassi aggiunge: «Per me Maria è un soggetto inesauribile, una fonte di ispirazione infinita. Ogni mio quadro ad essa dedicato è uguale e diverso. Ognuno, infatti, costituisce un nuovo passo in una ricerca che, per me, non avrà mai fine».

Quando l’arte diventa sacra?
Bruno Grassi apre un libro in francese di George Bernanos nel quale si legge che «l’arte contemporanea fabbrica dei mostri o gioca con funamboliche astrazioni prive di contenuto mentre l’artista dovrebbe approppriarsi, con un prodigio di passione infinito, del dolore degli uomini».
Nel chiudere nella penombra del suo romitorio il libro di Bernanos, Grassi dice: «Queste sono parole sacrosante che non si possono lasciare cadere solo perchè vanno controcorrente». Si capisce allora perché lo storico dell’arte, Ferdinando Arisi, abbia scritto: «Di solito, gli artisti contemporanei, quando debbono eseguire dei quadri di arte sacra, si documentano sulle opere dei maestri che li hanno preceduti. Bruno Grassi, invece, per documentarsi, gli basta guardarsi dentro». Al giornalista Stefano Lorenzetto che gli chiedeva: «Quand’è che l’arte diventa sacra?», Grassi ha risposto: «Quando, guardandola, ti viene voglia di pregare».

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