Le 3 D della propaganda progressista

Desiderio, diritto e discriminazione: sono i tre passaggi per mettere a tacere chi non è d'accordo con l'agenda della morale liberal

Sono tre le D da tenere bene a mente: desiderio, diritto e discriminazione. Sono queste le tre parole chiave per capire come funziona, e perché è particolarmente efficace, la propaganda progressista sui diritti. Il meccanismo delle 3 D ha una notevole forza, perché, nel suo sviluppo, definisce un campo di gioco di natura morale in cui il dirittismo riesce spesso ad avere la meglio.

Il desiderio diventa diritto

Vediamone il funzionamento. In primo luogo, una minoranza, tendenzialmente Lgbt, ha un desiderio. Poniamo, ad esempio, la genitorialità. Il desiderio, quale che sia, diventa immediatamente un diritto (del resto puoi essere e fare ciò che vuoi). Nel momento in cui il desiderio diventa diritto, nei confronti di tutti coloro che si oppongono, vuoi per ragioni etiche, vuoi per ragioni culturali, vuoi per ragioni religiose, scatta l’accusa di omofobia. L’accusa di omofobia, che potrebbe essere paragonata a quella di fascismo, mette fuori gioco tutti coloro che hanno sollevato dubbi o perplessità.

Omofobia e discriminazione

Il perché è presto spiegato: l’omofobia si fonda sulla polarizzazione moralizzante discriminati-discriminatori, in cui i primi incarnano ovviamente il Bene e i secondi il Male. Di conseguenza qualsiasi obiezione mossa a chi reclama il diritto alla genitorialità (discriminato) diventa una discriminazione e pertanto deve essere estromessa dal dibattito. È interessante notare che questa impostazione del discorso è particolarmente vantaggiosa per chi chiede diritti, perché sfrutta uno strumento di natura morale (la discriminazione) per affrontare obiezioni anche sul merito della questione.

L’accusa di omofobia, nel nostro caso, elimina in un solo colpo anche la questione dell’utero in affitto, che potrebbe essere legittimamente posta perché le coppie omosessuali potrebbero servirsi di questa pratica anziché adottare un figlio. La dignità della donna che si presterebbe a una maternità surrogata, la sua condizione, i suoi diritti e i diritti del figlio vengono così ignorati, silenziati dall’accusa di discriminazione.

Il caso del pesista Laurel

La natura binaria su cui si fonda il meccanismo della discriminazione definisce quindi il campo di gioco e avvantaggia notevolmente il presunto discriminato. Vediamo un altro esempio. Gli atleti transgender (soprattutto uomini che diventano donne) che richiedono di partecipare alle gare sportive dopo il cambio di sesso. Emblematico, in questo senso, il caso della sollevatrice di pesi Laurel Hubbard, un tempo Gavin. Il desiderio, oltre a quello di cambiare sesso, è di competere con atlete dello stesso sesso; il diritto, cambiato sesso, è partecipare alle olimpiadi. La discriminazione da attivare per mettere a tacere chi solleva obiezioni è la transfobia. E anche in questo caso con l’introduzione della transfobia il campo di gioco si trasforma.

Mettere a tacere

La questione non riguarda più le distorsioni che potrebbero avvenire in campo sportivo: una donna che era un uomo e che ha una potenza fisica non paragonabile a quella di una donna; ma diventa la transfobia, la discriminazione che deve essere eliminata. Il risultato è identico a quello del caso precedente. I dirittisti vincono a mani basse e chi obietta qualcosa viene estromesso dal dibattito, in quanto discriminatore.

Come si può intuire, il meccanismo delle 3 D è tanto semplice quanto efficace. Grazie alla polarizzazione moralizzante discriminato-discriminatore che innesca, riesce facilmente a mettere a tacere chi solleva dubbi. E così, ogni desiderio diventa magicamente un diritto, tagliando fuori qualsiasi forma di opposizione anche se legittima e argomentata.

Foto Eduardo Pastor da Unsplash

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