L’anomalia italiana

editoriale 20

Nel suo “Nero su Nero”, memorie e appunti di cronaca venuti ad accumularsi “per dieci anni torbidi, fra il 1969 e il 1979”, Leonardo Sciascia si chiedeva: “Nascerà il verbo lottagovernare? ”. Doveva presto trovare conferma alla sua intuizione il grande scrittore siciliano se in una riunione con la base comunista, “un operaio interviene dandomi quasi dell’ignorante: in Polonia, dice, il Partito comunista appunto lottagoverna: com’è che non me ne rendo conto?”. Sono passati vent’anni e tutti gli eredi della tradizione, ex, post e neo comunista non solo lottagovernano, ma sono tornati a sparare, parrebbe al loro interno (e col risultato di rafforzare – come per altro avvenne già negli anni settanta, quando il risultato politico del terrorismo fu la crescita elettorale e l’approdo del Pci al governo – più che disarticolare “il cuore dello Stato”) e sempre al loro interno, a discutere se l’analisi brigatista sia più o meno “accettabile”, più o meno “farneticante”. Insomma, anche se la società è da tutt’altra parte, come in un tragico videogame un pugno di irriducibili ci costringe a discutere di “comunismo”. Riflettiamo: il comunismo è stato in questo secolo degno compare del nazismo riuscendo a seppellire qualcosa come cento milioni di donne, uomini, bambini, in nome di un’utopia che si è nutrita di terrore, guerre, stermini di massa. Di là dell’Adriatico un nazional-comunista è riuscito a inventarsi una variante etnicista dei campi di concentramento di Treblinka e delle fosse comuni di Katyn ottenendo di far tirare addosso a quel che resta della Jugoslavia tante bombe quanto basta perché muoia Sansone con tutti i filistei. L’Albania non esiste più da almeno un decennio e nei prossimi anni è verosimile che la sua popolazione, ridotta dal comunista Enver Oxa alla stadio larvale e poi dalla guerra allo stato di ente assistito sotto l’Alto Patrocinio Onu, si traferisca – è proprio il caso di dirlo – “armi e bagagli” in Italia. E davanti a tutto ciò (sorvolando sui milioni di vittime dei Gulag sovietici, sul genocidio cambogiano di Pol Pot, sui cimiteri “culturali” di Mao-Tze-Tung, gli obitori africani e quelli di Kim il Sung) in Italia non solo abbiamo fieri “comunisti” di lottagoverno, ma ritornano i “comunisti combattenti”. Tutti dicono: marziani. In realtà poi a ripensarci bene, uno riflette sulla filosofia che sottende le riforme Bindi e Berlinguer, va negli ospedali e nelle scuole, legge le pagine culturali del quotidiano di lottagoverno La Repubblica, compulsa le riviste sindacali della Cgil, consulta i libri di storia per bambini e per liceali, assiste ai film benignani e scopre che tutto il filone dei democratici veri è quello dell’antifascismo ex, post, neocomunista, di compagni che, tutt’al più, sbagliano. Spie piccole, ma significative, del mite brigatismo che coltiva l’élite exneopost di questo vecchio, vecchissimo paese, le ritroviamo quotidianamente già nelle pagine culturali (come la notizia denunciata da Paolo Mieli sulla Stampa secondo cui Gustav Herling, noto filosofo antitotalitario che da partigiano antinazista è finito nel Gulag sovietico, è stato censurato dalla casa editrice “democratica” per eccellenza Giulio Einaudi, perché nella sua prefazione a uno scrittore russo si era permesso di scrivere che “nazismo e comunismo sono gemelli totalitari” e che “la differenza tra i due regimi riguarda i metodi di uccisione”). Di fronte a questo apparato di potere che ha il suo epicentro nel ventre molle romano e cinghie di trasmisione ideologica nella cultura nazionale, c’è la multicolore, variegata, cosmopolita, maggioranza di cittadini, associazioni, gruppi sociali che sono cresciuti col gusto della libertà, persone che divenute adulte hanno imparato a guardare ai fatti, non più alle sirene della tradizionale opposizione destra/sinistra. Persone che, siano esse l’imprenditore, l’operaio, l’insegnante, lo studente o l’ex brigatista, siano esse impegnate sul terreno della libera iniziativa o dell’impresa educativa o dell’opera o del reinserimento sociali, si trovano sistematicamente sbarrata la strada dal blocco ideologico che va da Rifondazione a La Malfa, blocco statalista che ritiene la società costantemente immatura e dunque da tenere, con le buone o con le cattive, al guinzaglio e/o sotto la tutela di avanguardie illuminate. Grazie a un’epoca giudiziaria e quirinalizia favorevole (tanto per cambiare) agli ex, post, neo comunisti, l’accesso a una stagione di vere riforme politiche in campo educativo, sanitario, giudiziario, penitenziario, economico, sembra a tutt’oggi preclusa: guai a intervenire su magistratura, scuola, sanità, pensioni, carceri, struttura del lavoro; quando si viene al dunque si trova la dura opposizione degli apparati sindacali e corporativi, il ripiegarsi della politica in demagogia, la piazza scatenata, la Tv (compreso quella di Berlusconi) a sostenere la greppia del politicamente corretto di moda. Per questo non c’è molta altra alternativa, sul piano politico, a quella di una lotta (questa sì di lunga durata) che porti in politica e nella cultura nazionale, quella società operosa, antideologica e libertaria che oggi è maggioranza esclusa. C’è un unico particolare: la continuazione della guerra in Jugoslavia (nonostante le Br siano riuscite per qualche giorno a dare ossigeno al governo D’alema stornando da Belgrado e dal Kosovo l’attenzione pubblica) non favorisce certo questa impresa. Che è poi quella della fuoriuscita dal exneopost comunismo, l’unica vera anomalia (gramsciana) italiana.. TEMPI

Exit mobile version