La Santa Sede sta col popolo. Palestinese e israeliano

“L’accordo conl’Olp? Di valore storico. E le accuse di Israele di indebita ingerenza nei confronti della Santa Sede sono prive di ogni fondamento. Abbiamo fatto tutto nel rispetto delle preoccupazioni israeliane. Questo a Gerusalemme lo sanno. E sul caso della moschea a ridosso della basilica di Nazareth si attende un che il governo annulli l'autorizzazione data dal ministro di polizia”. Parola di un membro della commmissione bilaterale israelo-vaticana, docente di Diritto canonico al Pontificio Ateneo Antoniano di Roma, esperto di materie giuridiche Chiesa-Stato in Medioriente e autore del commento all’accordo Santa Sede-Olp apparso sull’Osservatore Romano del 16 febbraio scorso

Intervista di Lugi Amicone a David Jaeger La notizia dell’accordo fondamentale tra Santa Sede-Olp è stata accolta poco favorevolmente a Gerusalemme. Il ministro degli Esteri israeliano ha parlato di un’“indebita ingerenza del Vaticano nel processo di pace”. Perché, secondo lei, Israele ha reagito così duramente? Io stesso me lo domando. È una reazione soprendente. L’accordo non costituisce alcuna ingerenza nel processo di pace, anzi lo caldeggia, ed è tutto in chiave di una sua approvazione e incoraggiamento. Basta leggere il preambolo per rendersene conto: parla della necessità di una pace giusta e globale nel Medioriente, perché tutte le sue Nazioni vivano da buoni vicini e collaborino per ottenere sviluppo e prosperità per l’intera regione e i suoi abitanti. Questa sarebbe un’ingerenza indebita? L’accordo chiama a una soluzione pacifica del conflitto tra palestinesi e israeliani, appoggia i diritti dei palestinesi – diritti alla identità nazionale e alla libertà sottoscritti da Israele stesso nei suoi accordi con i palestinesi – dice che tutti i contenziosi devono essere risolti mediante negoziato al fine di ottenere pace e sicurezza per tutte le parti in causa. Questa sarebbe una indebita ingerenza? E ancora: l’accordo auspica una soluzione al problema di Gerusalemme e ha ben presente che Israele stesso ha messo il problema di Gerusalemme sul tavolo del negoziato. Nell’accordo di Oslo, la cosiddetta dichiarazione dei principi sottoscritta da Israele e dall’Olp il 13 settembre del 1993, Israele e Olp insieme hanno specificato gli argomenti del negoziato sulla risoluzione definitiva del loro contenzioso, argomenti che includono Gerusalemme: in questo momento il testo di quell’accordo mi sta davanti agli occhi. Dov’è l’indebita ingerenza? Secondo alcuni portavoci di Gerusalemme il problema sarebbe proprio questo: la Santa Sede non avrebbe il diritto di mettere a tema la questione dello statuto della città santa perché si tratterebbe di una questione esclusivamente bilaterale, tra Isarele e palestinesi…

Ma non è così. Basti rileggere la dichiarazione di Washington, sottoscritta il 25 luglio del 1994 da Israele, Giordania e Stati Uniti. Al punto b3 Israele assicura che darà una priorità al ruolo storico della Giordania in Gerusalemme e dichiara di rispettare il ruolo attuale della Giordania riguardo ai santuari musulmani in Gerusalemme. Dunque: dov’è l’ingerenza se è Israele stesso che ha ammesso una terza parte al negoziato su Gerusalemme? Negli accordi tra Santa Sede e Olp c’è senza dubbio il richiamo al fatto che né una, né due, né tre parti soltanto possano disporre e decidere delle dimensioni universalmente significative di Gerusalemme. Ma questa è la posizione della Santa Sede da sempre. Posizione che fu ribadita pubblicamente dal portavoce dalla sala stampa vaticana lo stesso giorno in cui venne firmato l’Accordo fondamentale tra Santa Sede e Israele, il 30 dicembre 1993, che risponde perfettamente al consenso di tutte le nazioni civili e che si trova scritta in tutte le risoluzioni Onu. Ancora una volta: dov’è l’indebita ingerenza? Israele però non ha ancora riconosciuto questo principio di statuto internazionalmente garantito per Gerusalemme…

Bene, se Israele non ha ancora riconosciuto questo principio è motivo di soddisfazione che l’altra parte politica del territorio, l’Olp, l’abbia invece riconosciuto in questo accordo con la Santa Sede. E poi, perché Israele non dovrebbe riconoscerlo? Io penso che le rivendicazioni israeliane a riguardo a Gerusalemme acquisteranno maggiore credibilità nel momento in cui lo stato ebraico accetterà le risoluzioni Onu a riguardo di Gerusalemme. E comunque sia: il fatto che i palestinesi abbiano aderito alla nota posizione della Santa Sede su Gerusalemme, in che modo dà diritto a un terzo di lamentarsi? Nella Legge fondamentale dello stato di Israele si dichiara Gerusalemme “capitale eterna e immutabile dello stato ebraico”.

È da qui che sorgono le difficoltà israeliane? L’accordo Santa Sede-Olp non prende posizione sui problemi riguardanti la sovranità politico-territoriale in Gerusalemme. Anche i palestinesi dicono di essere perfettamente d’accordo che Gersualemme sia capitale di entrambe le nazioni. Questo non è motivo di controversia. Atteso che entrambe le parti aderiscano alla necessità di uno strumento giuridico internazionale per certi aspetti religiosi e culturali di Gerusalemme, la disposizone del territorio è e sarà interamente affare loro.

Padre Jaeger, lei è anche membro della commissione bilaterale di lavoro permanente tra Vaticano e Israele. Il presente accordo con l’Olp ha provocato contraccolpi negativi a quel tavolo negoziale? Non ci sono stati fino a questo punto, né si prevederebbero sviluppi del genere. Noi abbiamo i nostri negoziati con Israele, questi negoziati sono retti da accordi, hanno un loro ritmo, un loro contenuto, un loro ordine del giorno. I rapporti tra Santa Sede e Israele sono amichevoli. Penso dunque che si debbano escludere ripercussioni negative al tavolo di lavoro tra Israele e Santa Sede.

Tornando alle reazioni israeliane. Visto la posizione che Israele mantiene a tutt’oggi su Gerusalemme, c’era da attendersi delle dichiarazioni. Il problema è che nessuno si immaginava fossero così eccessive. E non è che sono parse eccessive solo a noi. Apro la stampa israeliana e leggo sul quotidiano Haaretz di giovedì 17 febbraio, che vengono definite “dettate da riflessi pavloviani”. Mi auguro che i politici israeliani leggano effettivamente i testi dell’accordo: dalla lettura scopriranno che il preambolo e i dodici articoli non danno assolutamente adito a dubbi di ingerenza. Anzi. L’accordo è stato fatto con scrupolosa attenzione alle sensibilità israeliana.

Ad esempio? Per esempio l’accordo non è con l’autorità palestinese alla quale Israele non vorrebbe riconoscere capacità internazionale, ma l’Olp, che è l’interlocutore sul piano internazionale di Israele stesso, abilitato dall’accordo ad interim del 1995 tra Israele e Olp a rappresentare l’autorità palestinese sul piano internazionale. Altro particolare non secondario: le formule all’inizio del preambolo dell’accordo Santa Sede-Olp, sono prese dall’accordo tra Israele e Olp. Poi è significativo l’articolo otto, dove si dice che le disposizioni di questo accordo sono senza pregiudizio tra una delle parti e terzi, quindi assicura che non ci sia contraddizione giuridica con gli impegni presi tra Olp e Israele.

Tutto è stato fatto nella massima attenzione e considerazione di tutte le parti. D’altro canto – e non lo diciamo noi, lo abbiamo letto sui giornali israeliani – non si può proprio dire che Israele non fosse cosciente e al corrente di un accordo che rappresenta il culmine di un lavoro che dura da più di due anni. Ricordo che la Santa Sede instaurò rapporti ufficiali con l’Olp, con scambio di rappresentanti, fin dal 26 ottobre 1994…

Chi ha accsuato la Santa Sede di ingerenza è il ministro degli Esteri David Levy. Scusi, ma non è lo stesso uomo politico che favorì il processo di normalizzazione delle relazioni tra Israele e Vaticano? Sì. E infatti bisogna sottolineare che proprio da David Levy ci si attende che sia un buon custode e promotore dei rapporti con la Santa Sede perché allo stesso Levy si deve tanto. Gli si deve tanto per aver avviato i primi contatti con la Santa Sede, durante l’ultimo governo Shamir, e per essere egli il firmatario dell’accordo sulla personalità giuridica degli enti ecclesiastici con la Santa Sede, siglato il 10 novembre del 1996, quando Levy era di nuovo ministro degli esteri: fu lui a firmare quell’accordo e fu lui che lo pilotò nel Consiglio dei ministri. Perciò ho fiducia e speranza in Levy perché lui ha sempre saputo dare importanza ai rapporti con la Santa Sede.

Tra un mese il Papa andrà pellegrino in Terra Santa. Ci sono novità che fanno ben sperare per il superamento del contenzioso di Nazareth? La moschea di Nazareth è in stasi. Il governo israeliano, nel prendere la decisione di autorizzarne la costruzione, aveva preannunciato che la posa della prima pietra non avrebbe avuto inizio prima del pellegrinaggio del Santo Padre. Ma sembra aver confermato la dispozione a procedere alla costruzione dopo il viaggio papale. Naturalmente il pellegrinaggio del Santo Padre si trova al di fuori e al di sopra di tutte queste controversie. Però la questione di Nazareth continua gravissima, la decisione è assolutamente inaccettabile per al cristianità e continua doveroso uno sforzo coordinato della cristianità tutta intera per convincere l’esecutivo israeliano ad annullare la decisione presa da un suo ministro, il ministro di polizia Ben Ami.

Sulla stampa israeliana sono apparse negli ultimi giorni ipotesi secondo cui il rinnovato impegno preso dalla Santa Sede nell’accordo con l’Olp per le garanzie internazionali dei luoghi santi sia dovuto proprio allo choc subito dalla decisione riguardo alla moschea di Nazareth…

Mi sembrano riflessioni legittime. Certo, la vicenda di Nazareth non fa che confermare la necessità di munirsi di garanzie. Se Israele è capace di trattare così i luoghi cristiani a Nazareth, cosa potrebbe ancora accadere a Gerusalemme? Israele ha sempre detto di essere un buon custode dei luoghi cristiani sul suo territorio e si deve ammettere che questa affermazione non è stata priva di merito. Anche alla vigilia di questa controversia: se qualcuno avesse sostenuto che un ministro israeliano si sarebbe allineato con i fondamentalisti islamici per costruire una moschea alle porte della basilica dell’Annunciazione, nessuno gli avrebbe creduto, sarebbe stata considerata una calunnia. Non lo dico io, lo dice la stampa israeliana.

Visto dall’esterno, lo scenario mediorientale sembra attraversato da forti fibrillazioni. Ne sono indice i segnali contraddittori che ci giungono sul processo di pace: da una parte l’annuncio del ritiro unilaterale delle truppe israeliane dal Libano, dall’altra la denuncia di Arafat che dice “siamo in un vicolo cieco”. Crede che la visita del Papa potrà contribuire a imprimere una svolta al dialogo? Certo, il Papa ovunque sia andato ha sempre seminato semi di pace. Il fatto che lui visiti oltre alla Giordania anche il territorio palestinese e Israele è già un evento altamente simbolico. Non è che il Papa si metta a negoziare, però le sue parole hanno sempre avuto un influsso molto positivo, ovunque. Il viaggio del Papa è sicuramente un momento di grazia per tutti i cristiani, ma rappresenta un evento di grazia e pace anche per i nostri vicini musulmani, ebrei e non credenti, per tutti gli uomini di buona volontà.

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