La riscoperta delle opere di Bianca Pitzorno

Il tratto distintivo della sua letteratura è "solo eroine femminili", che sostiene abbiano educato più giovani di "quelle che andavano in piazza a bruciare reggiseni"

Da qualche tempo la casa di animazione per eccellenza, la Disney, ha abbandonato l’idea della principessa che aspetta il principe azzurro. Se già Mulan e Pocahontas erano dei personaggi femminili con un bel caratterino, è con Rapunzel (2010) che si ha un netto cambiamento. Comincia l’era delle ragazze che si salvano da sole, che non aspettano nessun cavallo bianco per intraprendere un’avventura. Quando le storie hanno cominciato a virare verso eroine femminili, sono stati in molti a dire “finalmente”.

CONTRO LE SOLITE PRINCIPESSE. In Italia c’è però una scrittrice che già da tanti anni ha cercato di capovolgere gli stereotipi di genere, proponendo nei suoi romanzi per l’infanzia, sempre e solo eroine al femminile, e porta il nome di Bianca Pitzorno. Come dichiara lei stessa sul suo sito, a proposito della sua poetica: “Il solo elemento costante nella mia scrittura è l’attenzione per i personaggi femminili, unici protagonisti dei miei libri, e per i problemi relativi all’essere donna, ragazza o bambina nella nostra società contemporanea o nel passato più o meno lontano”. Le sue eroine sono bambine incerte, che stanno diventando grandi e lottano contro gli adulti o contro i compagni di scuola, chiaramente maschi. Ha detto la scrittrice, intervistata alla fiera del libro per ragazzi di Bologna, riguardo alle principesse delle favole, che solitamente popolano le storie per bambine: “Le principesse tradizionali, quelle tutte vestite di rosa, e coi boccoli biondi, sebbene non siano un ottimo esempio per le bambine di oggi, non è detto che producano danni irreparabili. In futuro avremo probabilmente delle donne guerriere, nonostante i media propongano alle bambine messaggi pieni di stereotipi di genere”.

MEGLIO DEI REGGISENI. Il romanzo più celebre di Bianca Pitzorno è “Ascolta il mio cuore”, uscito nel 1991, che racconta delle vicissitudini di Prisca, Elisa e Rosalba, tre grandi amiche alle prese con il diventare grandi. A un certo punto Prisca vorrebbe diventare un torero, ma questo non è possibile perché è un ruolo adatto agli uomini. La bambina però non esiterebbe un secondo a cambiare sesso pur di poter inseguire il suo sogno. “Credo di avere fatto per l’emancipazione delle donne più giovani molto di più di chi andava a fare girotondi in piazza sventolando il reggiseno” ha raccontato l’autrice, ora 72enne, al giornale on line Softrevolutionzine. I libri della Pitzorno sono molto spesso inseriti nei programmi scolastici, negli stralci proposti dalle antologie, nell’elenco dei libri da leggere per l’estate. Di questo ovviamente è felice, ma spera che un giorno anche i programmi di studio cambieranno: “Le figure femminili sono sempre relegate ai paragrafi di fine capitolo. Perché i programmi scolastici rispecchiano la mentalità della società. Persino in casi eccezionali, come quella di Marie Curie, la si presenta sempre come una scopritrice in coppia”.

UN ALIENO ASESSUATO DA EDUCARE. Molti anni prima del suo bestseller, la Pitzorno aveva scritto un romanzo sui generis per il periodo, il 1979. In “Extraterrestre alla pari” si narra la storia di un alieno arrivato sulla Terra in una famiglia. Ma non si sa se il piccolo sia maschio o femmina, perché nel Pianeta dal quale proviene il sesso sarà chiaro solo a 18 anni. Per questo viene sottoposto a tutta una serie di test e di prove per capire cosa sia realmente. “Che temi trattati da me anni fa siano ancora dibattuti non mi dispiace. Per fortuna non sono stati liquidati da una regressione sociale ideologica che ha colpito molti altri campi. Certo, io speravo che certi pregiudizi fossero ormai stati superati per sempre, e invece mi trovo ancora a combattere perché la mia nipotina di quattro anni non sia educata come una gnegnè rosa confetto”. Il terrore per i giocattoli rosa viene portato adesso avanti da una campagna inglese chiamata “Let toys be toys”, che combatte perché i tradizionali colori per i giocattoli per maschietti e femminucce vengano abbandonati. “Negli anni Ottanta ricordo l’orrore di scoprire le uova di Pasqua con sorprese da maschi e da femmine. Queste di solito erano gioiellini paccottiglia”.

L’EDUCAZIONE A SCUOLA. Questa storia è nata dopo che la Pitzorno aveva letto “Dalla parte delle bambine”, un saggio di Elena Gianini Belotti (Feltrinelli), la cui tesi era che il bambino dovesse svilupparsi nel modo a lui più congeniale. Spiega ancora la scrittrice nel suo sito: “Mi interrogavo sulle responsabilità dei genitori e degli adulti in genere. Mi rendevo conto che certi pregiudizi sono radicati così profondamente che anche per le persone meglio intenzionate è quasi impossibile dare ai figli e alle figlie una educazione proprio uguale”. Lei stessa dichiara di avere avuto problemi per la pubblicazione del libro, rifiutato da molti: “Alla fine accetto di pubblicarlo l’unico editore che non l’aveva letto”.

UN’IDEA SBAGLIATA DI STRUTTURA FAMIGLIARE. Anche per “Una casa sull’albero”, del 1984, ci sono stati problemi. Qui c’è una bambina, che scappa dalla famiglia, e va a rifugiarsi su un albero, dove vive una signora. Una cicogna, colpita a morte da un cacciatore, fa cadere nella casetta di legno quattro neonati, e così le due li crescono. “Vuole raccontare la convivenza di due persone, un’adulta e una bambina non legate da vincoli familiari, e si prefigge di ribaltare tutti i luoghi comuni di cui cadono preda i bambini di quell’età, influenzati dai modelli adulti, quando giocano ‘a casetta’. Di solito infatti in questo gioco i piccoli drammatizzano i ruoli tradizionali, con tutta la serie di gerarchie, limitazioni e spesso anche di ipocrita violenza che la struttura familiare odierna spesso comporta”, spiega la Pitzorno. La famiglia è molto spesso bistrattata nelle storie della scrittrice, come nell’ultimo romanzo per bambini Tornatras, del 2000, nella quale una madre abbandonata dal marito passa le sue giornate fagocitate dalla tv. Ha raccontato alla Fiera del libro di Bologna che erano tante le serate passate in compagnia della tata: “Quando i miei uscivano alla sera e mi lasciavano con la bambinaia, mia madre mi raccontava che dovevano badare a un mio fratellino che io non conoscevo, di nome Giorgio. Ma non era vero. Quando da adulta le chiesi il perché di quella bugia, lei mi rispose perché eravamo così stupidi da crederci”.

 

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