«La pubblica amministrazione mi deve un milione». Imprenditore costretto a chiudere

La storia, come tante altre, di un imprenditore edile siciliano: ha consegnato le commesse in tempo, ma gli enti locali non lo pagano. «Ora dovrò licenziare i dipendenti»

«A me non è il lavoro che manca. Ma la pubblica amministrazione non mi paga. Vanto un credito da 1 milione di euro da oltre un anno. Finora ho anticipato tutto io, ma tra un mese non ce la farò più. Mi stanno costringendo a licenziare e a rinunciare ad altre commesse. Come faccio? Come lo dico ai miei operai?». Luigi Ardizzone, 60 anni, è proprietario dell’omonima impresa edile di San Cataldo (Ct). Una storia, la sua, specchio di quello che vive oggi l’Italia che lavora, che vuole affrontare la crisi, ma viene quasi costretta all’immobilità. Ci troviamo in Sicilia, eppure la sua è una realtà economica solida e persino florida, nonostante la crisi. È un’azienda edile creata nel 1978, che oggi conta 30 dipendenti (ma in passato è arrivata a impiegarne fino a 80) e l’anno scorso ha fatturato circa 5 milioni di euro. Per la maggior parte l’azienda opera col settore pubblico, anche se negli ultimi anni sta realizzando opere di edilizia privata. «Stiamo cercando di arrampicarci, perché il pubblico non va. La verità è che stiamo quasi per rimanere fermi», dice Ardizzone a tempi.it.

QUESTIONE DI PRIVACY. Il problema di Luigi Ardizzone e della sua impresa si chiama pubblica amministrazione. Negli anni passati la sua azienda ha completato, rispettando i tempi di consegna, diversi lavori per enti locali. Ma i mesi passano, e gli enti ancora non pagano. Sette mesi fa, per esempio, l’impresa ha consegnato trenta alloggi popolari e la ristrutturazione di un edificio al comune di Catania: l’importo dei cantieri era di 4 milioni, adesso Ardizzone aspetta ancora 500 mila euro. A Milazzo (Me) ha realizzato delle opere verdi pubbliche consegnate ad agosto. Da allora gli debbono 250 mila euro, ma lui non lo lasciano più neanche avvicinare al Comune: «Si parla molto del patto di stabilità, come causa dei ritardati di pagamento. Ma si aggiunge anche il problema che molti funzionari pubblici, almeno di quelli con cui mi trovo ad avere a che fare io, non si interessano assolutamente dei problemi altrui, anche perché non hanno nemmeno una responsabilità per ciò che non fanno sul loro lavoro. A Milazzo mi hanno risposto che non possono pagarmi, perché a loro volta hanno un debito con la Regione. Ma mi hanno gridato che non dobbiamo assolutamente interessarci con la Regione per sbloccare le somme che mi spettano, per ragioni di privacy. Non dovrei ledere la privacy del Comune. Ma che, scherziamo? Stiamo parlando dei miei soldi, e secondo loro non dobbiamo permetterci neanche di chiedere informazioni». Ardizzone non nasconde una profonda amarezza. «Mi stanno rubando ciò che ho costruito in 30 anni di lavoro. Stanno umilando gli sforzi fatti da me e altre famiglie, i sacrifici fatti insieme a me da tante altre famiglie che, a partire dal prossimo mese, non avranno più uno stipendio e non sapranno cosa mangiare. Però la pubblica amministrazione continua sempre con lo stesso sistema. Con i politici che non si interessano di noi imprenditori, che cerchiamo di investire e di realizzare qualcosa, salvo quanto c’è da pagare le tasse. Per l’Imu ho pagato moltissimo, ho anticipato tutto con la mia liquidità. Ma non si può più andare avanti così. Non si può pensare che noi, prima lavoriamo e poi non incassiamo. Anche dopo la notizia dello sblocco dei fondi per le pa, continuano a prendersela con comodo».

SPERANZA IRRINUNCIABILE. Da qui, malgrado ad Anzalone siano giunte nuove commesse per l’edilizia privata, la decisione di dover drasticamente ridurre il personale. «Fino a oggi – spiega – sono riuscito a pagare lo stipendio ai dipendenti, perché grazie a Dio, la mia azienda è sana, solida. Sto lavorando con i miei soldi, ho saldato tutto ciò che avevo di scoperto con le banche, però oggi mi ritrovo di nuovo ad avere bisogno di chiedere un mutuo da 300 mila euro. Il prossimo mese sarò già costretto a sospendere quasi tutti gli operai. Ogni 30 giorni pago tutti i contributi, e la cassa edile, ma ora non riesco più a farlo. Ai miei uomini non so nemmeno come dirlo, sono persone che lavorano anche da 25 anni. Sto male più io che loro, sono persone a cui sono legato, che sono cresciuti nella mia azienda. Come gli dico che li lascio a casa? E ora, queste persone che faranno? Dove finiranno, in piazza? E i loro figli, che sarà di loro? Sto male». Anzalone spiega che non vuole smettere nemmeno di sperare, anche se è sempre più dura. «Vorrei andare avanti: cercherò di farlo con un gruppo di 5 operai pur di esserci, ma dovrò rinunciare alla produzione, dovrò tagliare le commesse. Qui non mi manca il lavoro. Ho 60 anni, ma il lavoro è la mia vita, stare in mezzo agli operai, vedere qualcosa che si costruisce giorno dopo giorno e respirare il clima di amicizia nei cantieri, è una grande realizzazione personale. Non posso rinunciarvi».

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