La minaccia CO2

I CAMBIAMENTI CLIMATICI, LE STRATEGIE DI ADATTAMENTO, E LE POLEMICHE DEL PROF. RUBBIA, MENTRE L'ITALIA COMINCIA UN PROGRAMMA DI RICERCA

È proprio il caso di dirlo, questa volta il professor Carlo Rubbia si è “scaldato” un po’ troppo. L’esimio scienziato, già premio Nobel per la Fisica qualche settimana fa ha lanciato dalle colonne de La Stampa la sua “fatwa” contro il ministero dell’Ambiente italiano reo, a suo avviso, di sottovalutare il fenomeno dei cambiamenti climatici legato all’aumento di Co2 nell’atmosfera. Nel mirino del professore una pagina pubblicata dal ministero sulle pagine di Famiglia Cristiana in cui si afferma che «non ci sono prove scientifiche che il rilascio di anidride carbonica, metano e altri gas serra prodotto dalle attività umane stia causando, o la farà nel prossimo futuro, un preoccupante riscaldamento dell’atmosfera terrestre e un cambiamento climatico di notevoli dimensioni». Rubbia fa anche riferimento alla “prestigiosa rivista scientifica Science” che commentando la notizia ha scritto: «I funzionari del ministero dell’Ambiente italiano devono amare il caldo». Ma il professore non si ferma qui e attacca senza mezzi termini anche gli scienziati che collaborano con il ministero, una “sparuta schiera di oppositori” che tenta di contrapporsi alla stragrande maggioranza della comunità scientifica mettendo in evidenza la loro assoluta mancanza di obiettività e di autonomia.
Per la verità anche Rubbia, nel suo articolo, ammette la “mancanza di un’assoluta certezza scientifica” riguardo ad un legame tra cambiamenti climatici e aumento della Co2 derivante dalle attività umane ma, aggiunge, «questo non è una ragione per ritardare una risposta immediata».
«Rubbia – spiega Corrado Clini, direttore generale per la Ricerca e lo Sviluppo del ministero dell’Ambiente – utilizza alcune frasi dell’inserto pubblicato su Famiglia Cristiana per spiegare il suo teorema accusatorio contro il ministero. Vorrei solo ricordargli che recentemente è stato istituito il centro EuroMediterraneo sui cambiamenti climatici finanziato dai ministeri dell’Ambiente, dell’Università e della Ricerca e dell’Economia. Un centro progettato e organizzato come network della ricerca italiana che raccoglie in un unico sistema gli Istituti e gli esperti degli Enti Nazionali di Ricerca e di 12 Università italiane».
«Il Centro – continua Clini – costituirà il punto di riferimento per l’Europa meridionale e per i paesi della sponda sud del Mediterraneo per la ricerca sulla dimensione regionale dei cambiamenti climatici, sarà dotato di un’importante struttura di calcolo per sviluppare modelli climatici avanzati e, in connessione con gli altri centri europei, elaborerà scenari sugli effetti dei cambiamenti climatici nella regione mediterranea e sulle strategie di adattamento. Il presupposto del Centro non è quello di dimostrare una tesi, ma di sviluppare la ricerca per comprendere le cause, prevedere e prevenire gli effetti dei cambiamenti climatici».
Insomma, anche per i cambiamenti climatici vale l’insegnamento di Alexis Carrel, giovanissimo premio Nobel per la medicina, «poca osservazione e molto ragionamento conducono all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità».

KYOTO MON AMOUR
Ma nel processo verbale di Carlo Rubbia anche Corrado Clini assume un ruolo di primaria importanza. Il direttore generale, secondo il premio Nobel, si sarebbe infatti macchiato dell’infamia di aver sostenuto che il “Protocollo di Kyoto”, totem intoccabile della scienza moderna, andrebbe «ripensato al fine di superare il muro innalzato dall’ideologia verde e dagli interessi energetico – commerciali prevalentemente legati all’asse franco – tedesco». All’imputato l’arduo compito di difendersi.
«Innanzitutto – riprende Clini – vorrei tornare un attimo sulla posizione italiana in merito ai cambiamenti climatici solo per ricordare che già nella prima comunicazione nazionale sui cambiamenti climatici del 1998, trasmessa alle Nazioni Unite, veniva richiamata l’esigenza di affrontare la sfida ai cambiamenti climatici con un approccio globale. Per questo l’Italia ha sostenuto e sostiene il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, e per questo un ricercatore italiano è nel Panel. Inoltre, dal luglio 2001, l’Italia ha avviato con gli Usa un programma di ricerca comune sui cambiamenti climatici. Infine, nel Terzo Rapporto sul Clima del Panel, approvato dai rappresentanti di oltre 100 paesi (Usa e Cina compresi) si ribadisce l’esigenza di un approccio globale».
Lo scenario è chiaro. Il Rapporto, infatti, suggerisce che la concentrazione atmosferica di Co2 dovrebbe stabilizzarsi entro la fine del secolo ad un livello compreso tra 500 e 550 parti per milione. Per raggiungere questo obiettivo le emissioni globali dovrebbero essere ridotte, a partire dal 2030 – 2050 di almeno il 50 per cento rispetto ai livelli attuali. Questi scenari, però, contrastano con le previsioni energetiche future. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, il consumo mondiale crescerà, tra il 2004 e il 2030, di circa il 50 per cento con l’impiego prevalente di combustibili fossili, il che comporterà un aumento delle emissioni di circa il 60 per cento.
«Questo Terzo Rapporto – spiega Clini – è alla base della posizione italiana per la revisione del Protocollo di Kyoto. Il contrasto tra gli scenari energetici e l’obiettivo di stabilizzazione della concentrazione atmosferica di Co2 mette in evidenza come il Protocollo rappresenta, nella migliore delle ipotesi, solo un primo passo verso l’impegno globale richiesto dalla sfida dei cambiamenti climatici. Per questo, secondo, noi è evidente la necessità di una strategia globale di lungo periodo, “oltre il Protocollo di Kyoto”, per affrontare da una lato la riduzione della “intensità di carbonio” dell’economia globale attraverso lo sviluppo di un nuovo sistema energetico fondato sulle fonti rinnovabili, sulle tecnologie dell’idrogeno, sull’energia nucleare e sull’uso efficiente delle fonti fossili convenzionali. Dall’altro l’accessibilità alle fonti e alle tecnologie energetiche alternative da parte delle economie emergenti».
È in questo scenario che l’Italia ha avviato dei programmi di partnership con la Cina. Ma è anche in questo scenario che l’Italia chiede un utilizzo strategico delle fonti finanziarie. «Sarebbe un errore drammatico – continua Clini – concentrare nel breve periodo risorse ingenti per ridurre in misura minima le emissioni, senza intervenire in modo urgente per limitare gli effetti catastrofici di eventi climatici che possono compromettere non solo le economie, ma anche la stabilità di molti Paesi. Anche da questo punto di vista dovrebbe essere riconsiderato il Protocollo di Kyoto».
Insomma, il teorema accusatorio del professor Rubbia, se non totalmente infondato, sembra essere un po’ deboluccio. E a noi, poveri ignoranti, sorge un dubbio: non è che l’esimio professore si è arrabbiato perché qualcuno lavora, si muove ottiene risultati senza chiedergli il permesso?

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