«La mia vocazione è uccidere tutti gli armeni». Storia del tenente Safarov

Sapete perché gli abitanti dell’Artsakh non si fidano delle rassicurazioni dell’Azerbaigian? Ecco un’istruttiva vicenda accaduta pochi anni fa

Lo scrive l’ambasciatore dell’Azerbaigian presso la Santa Sede, lo dichiara a radio France Info l’ambasciatrice in Francia: gli armeni lasciano di loro iniziativa il Nagorno-Karabakh, non è colpa di noi azeri se se ne vanno. L’Onu “conferma” che non ci sono state violenze: finiti i combattimenti, che hanno causato 200 morti fra i quali 10 bambini, 100 mila armeni su 120 mila che vivevano da sempre nell’Artsakh/Nagorno-Karabakh hanno scelto la via dell’esilio in Armenia senza che a nessuno venisse torto un capello. E pazienza se alcuni sono stati arrestati lungo la strada, accusati di fatti risalenti alla guerra del 1992-’94, e molti altri sono stati derubati di gioielli e denaro: la guerra non è un pranzo di gala, guai ai vinti.

Che abbandonano in massa le terre dei loro avi in ragione del loro pregiudizio anti-azero: non credono alle promesse del governo di Baku, non si fidano neanche un po’. Sono convinti che adesso il regime del presidente Ilham Aliyev distruggerà le loro chiese e i loro cimiteri, abbatterà le grandi croci di pietra e cancellerà ogni memoria storica della civiltà armena, come è stato fatto nella regione del Nakhichevan, dopo che nel 1924 è stata assegnata all’Azerbaigian.

Il fatto che la Fondazione Heydar Aliyev (padre dell’attuale presidente) abbia restaurato chiese in Francia e catacombe a Roma non li commuove per niente. Hanno ragione o hanno torto in questa loro sfiducia così radicale? Per rispondere a questa domanda non è necessario rievocare la storia di tutte le violenze esplose fra i due popoli. Basta un singolo, eloquente aneddoto per farsi un’idea della risposta più saggia. State a sentire questa storia. La storia del tenente Ramil Safarov.

L’ascia affilata

Nel non lontano gennaio 2004 il 26enne tenente Ramil Safarov, nato in un distretto azero occupato dagli armeni durante la guerra degli anni Novanta, formato all’Accademia militare turca di Ankara, viene inviato a Budapest insieme a un compagno per un corso di apprendimento della lingua inglese all’interno del programma Partenariato per la pace promosso dalla Nato per creare un clima di distensione e collaborazione fra l’Alleanza atlantica e paesi non appartenenti all’organizzazione, in particolare gli Stati post-sovietici.

Al corso sono iscritti anche due ufficiali delle forze armate armene, i tenenti Guergen Margaryan e Hayk Makuchyan. Alle 5 di mattina del 19 febbraio Safarov si introduce nella stanza dove è alloggiato Margaryan armato di una grossa ascia che aveva comprato la sera del 18 febbraio in un supermercato Tesco di Budapest e che aveva affilato nella camera dove dormiva da solo, poiché il suo compagno di stanza ucraino era tornato in patria per un funerale. Con quella assesta sedici colpi sul volto di Margaryan indifeso, addormentato nel suo letto, sfigurandolo e quasi staccando la testa dal corpo.

Il trambusto sveglia il coinquilino del tenente armeno, l’ungherese Balázs Kuti, che alla vista del sangue sparso per tutta la stanza e al suono dei colpi dell’ascia si rende conto di quello che sta accadendo, e grida a Safarov di fermarsi. L’ufficiale azero risponde che non ha nulla contro di lui e che non gli farà alcun male. Colpisce ancora due-tre volte Margaryan già morto, ed esce dalla stanza con un’espressione di trionfo sul volto.

Assetato di sangue armeno

Nel corridoio incontra un ufficiale uzbeko, risvegliato dal baccano, e lo invita ad associarsi alla sua nuova missione: uccidere anche l’altro armeno presente nel dormitorio dell’università militare Zrínyi Miklós, dove alloggiano tutti i partecipanti allo stage. L’uzbeko rifiuta e tenta di calmarlo, ma senza esito. Safarov arriva davanti alla camera dove alloggia Makuchyan e grida ad alta voce il suo nome. L’interessato, semiaddormentato, fa per aprire la porta, ma il suo compagno di stanza, un lituano, lo dissuade e chiama al telefono l’altro ufficiale lituano per capire cosa stia succedendo.

Safarov allora va alla stanza dove alloggiano un serbo e un ucraino, sospettando che il secondo ufficiale armeno abbia in qualche modo capito le sue intenzioni e si sia rifugiato lì, ma non lo trova e allora spiega ai due ufficiali esterrefatti, ascia insanguinata alla mano, che lui è assetato di sangue armeno, non di quello di altri. Torna davanti alla stanza di Makuchyan e comincia a colpire la porta con l’ascia, ma a quel punto arrivano i poliziotti ungheresi, allertati dal secondo lituano, e Safarov viene messo in condizioni di non nuocere.

Condanna all’ergastolo

Nel corso del primo interrogatorio di polizia ammette le sue responsabilità e dichiara fra le altre cose: «Il mio compito è ucciderli tutti [gli armeni, ndt], perché finché vivranno noi soffriremo. Se non qui e ora, farei la stessa cosa in qualsiasi momento e in qualsiasi altro luogo. Se ci fossero più armeni qui, li ucciderei tutti. È un peccato che questa sia la prima occasione e che non sia riuscito a prepararmi al meglio per questa azione… La mia vocazione è uccidere tutti gli armeni».

Al processo i giudici respingono la tesi dell’infermità mentale e pure l’attenuante della provocazione, inventata di sana pianta dai media di regime azeri per far passare Safarov come un eroe che ha vendicato l’onore infangato dell’Azerbaigian: i due ufficiali armeni avrebbero usato una bandiera armena per pulirsi le scarpe e ci avrebbero urinato sopra, avrebbero diffuso un’audiocassetta con lamenti di donne azere che hanno perso i loro uomini. In realtà armeni e azeri non avevano alcun contatto durante lo stage, non c’era stato nessun conflitto fra loro perché non c’era mai stato rapporto. I giudici condannano Safarov all’ergastolo per l’omicidio di Margaryan e il tentato omicidio di Makuchyan, pena che l’ufficiale azero comincia a scontare in un carcere militare ungherese.

«Eroi come Ramil Safarov»

Nel 2012 l’Azerbaigian domanda, sulla base della Convenzione di Strasburgo del 1983, l’estradizione di Safarov perché completi la pena a cui è stato condannato (secondo la sentenza non può chiedere la semilibertà prima di aver scontato 30 anni di carcere) nel paese d’origine. Budapest approva la richiesta, e Safarov vola a Baku. Non appena è sceso dalla scaletta dell’aereo, il presidente Aliyev comunica di avergli concesso la grazia. Il ministero della Difesa ordina che siano versati sul suo conto corrente bancario otto anni di stipendi arretrati, gli mette a disposizione un appartamento e comunica la sua promozione al grado di maggiore. Senza nemmeno fare un altro giorno di carcere, Safarov si reca al principale cimitero militare e depone una corona di fiori sula tomba del defunto presidente Heydar Aliyev.

Novruz Mammadov, portavoce presidenziale per le relazioni esterne, dichiara: «Sì, è in Azerbaigian. Questa è un’ottima notizia per tutti noi. È molto commovente vedere questo figlio della patria gettato in prigione per aver difeso l’onore e la dignità del popolo della sua patria». Elnur Aslanov, capo del dipartimento di analisi politica e informazione della presidenza dell’Azerbaigian, afferma: «Eroi come Ramil Safarov con il loro coraggio hanno portato una seconda vita alla società e al popolo azero». Ali Ahmedov, vicepresidente e segretario esecutivo del partito di governo Nuovo Azerbaigian, dichiara: «L’ordine del presidente Ilham Aliyev di graziare Ramil Safarov è un trionfo di determinazione, coraggio e giustizia».

«Ha fatto bene a togliere la vita a un armeno»

Noti personaggi pubblici fanno dichiarazioni simili, associando Safarov all’immagine dell’eroe. La famosa cantante e deputata del parlamento Zeynab Khanlarova fa la seguente dichiarazione: «Safarov non è solo un eroe dell’Azerbaigian, è un eroe internazionale! A lui bisognerebbe erigere un monumento. Non tutti gli uomini avrebbero saputo fare quello che ha fatto lui. Ci sono due eroi: Ilham Aliyev e Ramil Safarov. Avrei fatto esattamente come Ramil. Ha fatto bene a togliere la vita ad un armeno».

Dal 2012 niente è cambiato in Azerbaigian per quanto riguarda la narrativa ufficiale intorno alla figura di Ramil Safarov. Ma gli armeni del Nagorno Karabakh dovrebbero fidarsi, restare sul posto e vivere sotto il governo di Ilham Aliyev. Non gli succederà niente di male. Sì, certo. Non ci sono dubbi…

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