«La mia azienda ha rischiato il fallimento per la giustizia lumaca»

La vicenda dell'imprenditore Ceccarelli: «Dipendenti e fornitori mi hanno aiutato a non chiudere»

L’azienda di Ulderico Ceccarelli, in quel di Frosinone capoluogo della Ciociaria, ricorda da vicino una grande nave mercantile, di quelle abituate ad affrontare i mari più impetuosi. Le tempeste che ha dovuto superare la sua Italgasbeton (settore calcestruzzi), l’amministratore unico Ceccarelli le descrive in quattro parole: «Banche, concorrenza sleale, tasse e giustizia lenta. Se io dovessi pensare alla mia vita aziendale in base a queste cose, potrei dire che l’Italia è un paese da incubo».

«SPERO NELLA GIUSTIZIA». Ceccarelli attualmente ha in sospeso varie cause che vedono la sua azienda come parte lesa: processi per abuso della posizione dominante dell’azienda concorrente (condannata dall’Autorithy, dal Tar del Lazio e dal Consiglio di Stato), per la truffa subìta da un fornitore, per una polizza mai versata da un’assicurazione. In alcuni di questi casi ha già ottenuto in gran parte ragione, ma mai ancora ha avuto sentenze definitive, anche se uno di questi processi è pendente, ad esempio, da 19 anni. Perciò Ceccarelli spiega a tempi.it: «La lentezza della giustizia più volte mi ha portato sull’orlo del fallimento. Io so di essere nel giusto, e di essere stato vittima di vari abusi, perciò continuo a sperare, dopo tutti questi anni, di incontrare un giudice onesto. I miei avvocati dicono che sono ingenuo. Ma se uno sa di essere nel giusto, ha alternative all’aspettare giustizia? Certo, con i tempi di attesa necessari in Italia, un’azienda come la mia ha rischiato il fallimento, e debbo ringraziare chi lavora con me se non è accaduto». La Italgasbeton è nata alla fine degli anni Ottanta con 4 milioni di euro di capitale, e 48 dipendenti (più un centinaio nell’indotto). Negli anni, grazie ad un prodotto innovativo brevettato da Ceccarelli, è cresciuta sino a fatturare 10 milioni di euro e ad avere commesse in Cina e in Sudamerica.

TERRIBILE SCOPPIO. Una delle cause più eclatanti in cui è coinvolta la Italgasbeton ha avuto inizio otto anni fa. Alle sei del mattino del 18 luglio 2007 scoppiò una delle autoclavi presenti nello stabilimento, con una potenza tale che lo stabilimento per metà fu distrutto, mentre uno degli operai morì. All’epoca, Italgasbeton viaggiava verso i 10 milioni di euro di fatturato, e si è ritrovata a ripartire da zero. Dopo le denunce, sull’incidente hanno indagato i periti nominati dall’azienda, dall’assicurazione e un terzo super partes. Ma poiché lo stabilimento è stato sottoposto a sequestro giudiziario dalla procura di Frosinone (sulla morte dell’operaio si indagava a livello penale), il collegio dei periti (quello dell’assicurazione, quello dell’impresa e un terzo esterno per comporre) ha concordato di rimettersi alle valutazioni del perito tecnico nominato dalla procura, l’ingegnere Piergiacomo Cancellieri. Alla fine della sua indagine, nel luglio 2008 Cancellieri ha concluso che «tutti gli elementi conducono, al di là di ogni ragionevole dubbio, all’attribuzione della responsabilità dell’evento incidentale ad un errore nella progettazione e realizzazione di un particolare meccanico di sicurezza della ganascia nel sistema di chiusura dell’autoclave», non dipendente in alcun modo dall’azienda.

QUESTIONI SEMANTICHE. Secondo i patti, quindi, l’assicurazione dovrebbe rimborsare a questo punto Ceccarelli per il danno subìto. Invece, sebbene il collegio dei periti in quello stesso luglio 2008 accolse questa relazione e stabilì all’unanimità che il danno da risarcire è di 7,4 milioni di euro, al momento di firmare la relazione del collegio il perito dell’assicurazione ha fatto presente che la polizza non sarebbe stata pagata, sostenendo che «l’evento non è configurabile quale scoppio. La polizza, infatti, definisce scoppio il “repentino dirompersi di contenitori per eccesso di pressione interna di fluidi non dovuto ad esplosione”».
Per l’assicurazione, anche se la polizza era contro i rischi “di scoppi in genere”, dato che l’autoclave dell’azienda era scoppiata per un guasto alla ganascia, c’era una differenza sottile di parole sufficiente a non pagare. L’azienda di Ceccarelli, a quel punto, in quello stesso 2008 si è quindi rivolta alla giustizia: la risposta dei giudici di primo grado è arrivata a tre anni dall’incidente. Il tribunale civile di Roma, con una meticolosa analisi semantica del termine scoppio, ha dato ragione alla Italgasbeton e condannato l’assicurazione a pagare 6,4 milioni di euro. Ovviamente è stato presentato il ricorso. A maggio 2014 (quasi sette anni dopo l’incidente), la corte d’Appello di Roma ha ribaltato il verdetto di primo grado: malgrado il nuovo perito tecnico super partes nominato dai giudici abbia confermato che la causa dell’incidente fu uno scoppio, i giudici di appello sulla base di una distinta analisi semantica di “scoppio” hanno dato ragione all’assicurazione. Ad oggi, 8 anni dopo, la causa è ancora pendente in Cassazione.

«NON HO LICENZIATO NESSUNO». Ulderico Ceccarelli a tempi.it racconta che in tutto questo tempo, «malgrado tutto, sono riuscito a non licenziare nessun dipendente e a pagare tutti i salari, anche durante il periodo di sequestro giudiziario. Siamo riusciti, senza alcun sostegno finanziario e con le nostre sole forze, a ricostruire lo stabilimento e riavviare la produzione». Prosegue: «Più volte mi sono sentito come un soldato che sta attraversando un guado, con l’acqua ormai che gli arriva al collo e di fronte il cecchino nemico pronto a spararmi. Se dovessi pensare al mio paese dal punto di vista delle tasse, delle banche e della giustizia, vedrei solo questo. Se penso però alle persone, direi che questo è il paese più bello del mondo. Ci sono state molte persone che con il loro lavoro hanno di fatto salvato l’azienda: quando nel 2008 ho riaperto, ho chiesto ai fornitori di avere pazienza e di aspettare che li pagassi dopo la ripresa delle vendite. Mi hanno detto di sì, e così hanno fatto».

CAUSA VENTENNALE. Ceccarelli prosegue: «Quella con l’assicurazione non è l’unica tempesta che ho affrontato. Nel 1996 ritengo di aver subìto una truffa da un’azienda nostra fornitrice all’epoca. Ho fatto subito causa, ma il processo ha avuto un iter molto tormentato. Sono accaduti fatti assurdi, compresa l’improvvisa sparizione del fascicolo processuale poggiato sul tavolo del giudice, poco prima che si giungesse a sentenza di primo grado, fatto che ha imposto di ricominciare tutto da zero». In attesa di capire se una sentenza definitiva dirà che Ceccarelli ha ragione o torto nelle sue accuse, un dato di fatto resta: la settimana prossima è prevista la prima udienza del processo in Appello. Quasi a vent’anni di distanza dai fatti.

Foto giustizia da Shutterstock

Exit mobile version