La gioia di andare per vetrine sotto la pioggia con quella bambina che non doveva nascere

Tornare a casa in una sera di pioggia, e la bambina ti sorride e ti chiede: usciamo? Vuole vedere se in centro sono già arrivati i vestiti della primavera. È buio ormai, diluvia in questa sera fredda di febbraio; ma come sorride lei, a dieci anni, immaginando i vestiti della primavera. E allora la imbacucchi in una giacca a vento e vai, lei con gli stivali di gomma salta nelle pozzanghere – ti ricordi che lo facevi anche tu, e ti piaceva, l’odore della terra sotto la pioggia. Per un momento, hai dieci anni, ancora.
L’auto qui e là solleva onde come un aliscafo. Lei, seduta dietro, ride. A Foro Bonaparte si trova perfino un parcheggio, tanto non c’è nessuno in giro. Le luci del Castello si riflettono sull’asfalto bagnato. Trema e scintilla di luci nel buio Milano questa sera. E improvvisa ti viene in mente una sera di pioggia forte, proprio come questa – sono undici anni ormai. In uno di questi palazzi. Uno studio medico, una precoce ecografia. Aspettavi lei. Signora, disse il medico guardando il monitor, lo sviluppo non è adeguato. Qualcosa non va. Lei ha già due figli, è certa di volerlo tenere? Diluviava proprio come stasera, mentre tornavi a casa col petto pieno di cemento armato.
E come quando in un film un flashback svanisce, torni alla realtà e guardi lei, che ti ha preso per mano e ti trascina verso via Dante, di corsa, prima che i negozi chiudano. Eccoli nelle vetrine il rosa pastello, il verde chiaro, come una promessa in questa notte d’inverno. Quel ricordo sbucato dal buio ti ha tanto trafitto che le compreresti tutto, per la gioia grata di averla qui con te, felice, bella. Lei prova una maglietta, si specchia, si sorride già in un’alba di adolescenza. Sei bella, conferma lo specchio, benigno. (Ciò che non andava in quell’ecografia, era solo un errore, venduto come certezza da un medico supponente. Ma tu ti ricordi ancora, dopo lo sgomento, quella reazione di viscere, rabbiosa: è mio figlio, lo voglio. Reazione né cattolica né intellettuale, ma dal fondo della pancia e del cuore: è mio figlio, lo voglio).
E torniamo sotto la pioggia, contente di quell’acqua fresca sulla faccia. Lei felice della sua maglietta verde, di una primavera che in questo fradicio febbraio già annusa nell’aria. Verrà marzo, e ne verranno altri, lei quasi una donna. Lei, che si ferma davanti ai negozi di abiti da sposa e dice perentoria: il mio lo vorrò come questo. Che grazia è un figlio, che inaudita grazia è una bambina che ti trascina in una sera da lupi a comprare una maglietta color prato. E cosa avresti perduto, senza quel sussulto ringhioso del cuore – come le gatte, quando un estraneo si avvicina alla cucciolata. Come splende il Castello questa notte, e il Duomo, là in fondo. Com’è stranamante bella Milano in questa sera di pioggia. La felicità più grande è dentro una gratitudine.

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