La Cina e la fede cattolica: martirio o mediazione?

Riflessioni a margine dell'incontro vaticano della Commissione dedicata alla Cina

La Cina non è solo il grande colosso commerciale del presente e del futuro, i cinesi non sono solo uomini di affari che dall’Oriente arrivano in Occidente per comprare tutte le botteghe dei nostri centri storici con offerte irrifiutabili per farli diventare smercio di chincaglieria. E la Cina non è solo una dittatura camuffata da democrazia con grattacieli ed expo internazionali, Olimpiadi e grandi opere. La Cina è soprattutto, ancora quella dei piccoli villaggi sparsi in un territorio immenso e povero, dove la gente lavora nei campi, dove i cristiani cercano da secoli la loro strada. Quella segnata dalla presenza di Matteo Ricci e quella percorsa ogni giorno dai vescovi patriottici o clandestini che siano. Si è appena concluso l’incontro vaticano della Commissione dedicata alla Cina e voluta espressamente da papa Benedetto insieme alla lettera che, nel 2007, ha aperto un nuovo capitolo dei rapporti tra Sede apostolica e cattolici cinesi.


Da anni si fronteggiano due filosofie sul problema cinese. Da una parte chi sostiene che per difendere i vescovi “clandestini” cioè fedeli al papa e perseguitati dal governo, l’unico atteggiamento possibile sia quello del martirio, e dall’altra coloro che cercano una mediazione nell’interesse dei fedeli più semplici, anche perché molti dei vescovi “patriottici”, ordinati cioè senza il consenso del papa, hanno in effetti chiesto la benedizione papale e la conferma della ordinazione. La politica di Benedetto XVI segue un criterio di “riconciliazione”, ma certo il governo cinese non rende le cose facili. Per questo a dicembre scorso la Santa Sede ha preso chiaramente posizione contro l’imposizione fatta sui vescovi e sacerdoti cattolici a partecipare alla Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi, una kermesse di stato. La settimana scorsa in Vaticano si sono riuniti di nuovo i sinologi e il messaggio che ne è nato è stato chiaro: non abbiate paura del martirio, la fede dei semplici va mantenuta limpida e forte. E la fede viva e vera nella gente cinese c’è. E se, ovviamente, le ordinazioni senza consenso di Roma sono illegittime a rigor di codice, non sono però invalide. Insomma nessuna scomunica, potrebbe bastare, come è già successo, una lettera del vescovo che confermi la sua fedeltà al papa.
Il fatto è che dopo varie consacrazioni “consensuali” il governo cinese ha voluto riprendere in mano il controllo con le solite gravi limitazioni della libertà religiosa, diversa dalla libertà di culto.

 

Rimane poi il problema delle sedi episcopali vacanti, fedeli senza pastore che rischiano di esserlo per molto tempo. Tutto ritorna all’origine del problema Cina. La Chiesa cattolica è apostolica e non può dipendere da uno stato. E’ un problema ecclesiologico di fondo come spiegava Giovanni Paolo II rispondendo a un giornalista nel 1984. Quasi trent’anni dopo il problema è lo stesso, ma la lettera di Benedetto XVI del 2007 traccia la linea per risolverlo dimostrando un profondo affetto per tutta la comunità cattolica in Cina e un’appassionata fedeltà ai grandi valori della tradizione cattolica in campo ecclesiologico. Cioè una passione per la carità e per la verità.

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