La Bonino, Monti e i poteri forti delle banche

Terrazze romane di Francesco Damato

Per capire meglio le ragioni dell’esclusione di Emma Bonino dalla commissione europea di Bruxelles, a vantaggio del suo ormai ex collega Mario Monti, confermato per designazione del governo italiano, bisogna probabilmente risalire al 10 gennaio scorso. I giornali celebravano il decollo dell’euro. La Bonino guastò la festa con interviste e dichiarazioni per denunciare il sopruso delle banche ai danni dei consumatori, alla cui tutela cercava di provvedere come commissaria. “Se vado in banca a cambiare un milione di lire in un’altra moneta europea, l’operazione mi costa ben 35 mila lire, nonostante siamo ormai nello stesso mercato monetario”, disse la Bonino. E aggiunse: “È inaccettabile che un bonifico fra Milano e Lione costi più di uno fra Roma e Bari”. La questione finì davanti alla commissione, dove le banche trovarono l’aiuto indovinate di chi? Di Monti, che proprio alla vigilia della sua conferma ha ricevuto nei giorni scorsi dal commissario uscente agli affari economici e monetari Yves-Thibault de Silguy una lettera di protesta per gli ostacoli da lui ancora opposti alle iniziative comunitarie contro le commissioni che le banche continuano a percepire sulle operazioni valutarie della pur moneta unica europea. E poi dicono che non ci sono poteri forti. E che questi non hanno avuto un peso nelle scelte formalmente adottate dai vari Prodi e D’Alema. A pensare male, si sa, si fa peccato. Ma spesso, si sa anche questo, si indovina.

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