L’Italia e il voto europeo. Riscoprire il compito di un “popolo in comunità”

Si tratta, ora, di sostenere quelle forze che fanno riferimento alla tradizione popolare e riformista e, in prospettiva, di lavorare perché la loro voce (oggi afona) torni a farsi sentire

Articolo tratto dal numero di Tempi di aprile 2019

Di che cosa ha bisogno oggi l’Italia a livello politico? Di una forza liberale, riformista, popolare, che anteponga le necessità e gli interessi della società a quelli dello Stato, che valorizzi i corpi intermedi a partire dal più piccolo e importante che è la famiglia, che promuova uno sviluppo coerente col rispetto del creato, che non subisca supina i dettami del mainstream che ci vuole tutti uguali, neutri e inoffensivi. Quando, più o meno un anno fa, il paese era stato chiamato al voto per rinnovare il parlamento italiano, avevamo riassunto in uno scioglilingua il criterio con cui ci saremmo avvicinati al 4 marzo: noi scegliamo non chi fa ciò che vogliamo noi, ma chi ci lascia la libertà di fare e pensare quel che vogliamo.

Il panorama circostante lo vedete anche voi, non è il giardino dell’Eden. Un paese che sta attaccato coi cerotti, il debito pubblico che frena ogni possibile tentativo di riforma, una generale aria mefitica di sfiducia e rancore (lo abbiamo visto in atto anche in occasione del Congresso di Verona). Ma se intorno a noi tutto pare avvolto da fuliggine e di motivi per guardare con positività il futuro ve ne sono pochi, ciò non toglie che – ora che si vota per le Europee – un’idea su cosa si debba fare valga la pena di essere avanzata. Di sicuro, ancora una volta, posto che quelle suddette sono le nostre stelle polari, è nel campo alternativo alla sinistra che si debba guardare. Ora che anche il Pd con Zingaretti sembra “tornare al vecchio” e dunque a parlare la lingua di legno dello statalismo e di diritti che di “civili” hanno ben poco, la scelta si fa obbligata. Ora che i cinquestelle hanno mostrato anche ai più intelligenti (tipo intellettuali come Galli Della Loggia, che li hanno votati) di che pastafrolla sono fatti, dove altro volete che andiamo noi?

Questo governo, soprattutto a causa della componente pentastellata, non ci piace, e lo abbiamo già scritto. Il reddito di cittadinanza è roba per «pensionati mentali», come dice il nostro amico imprenditore Roberto Brazzale. La spazzacorrotti è una norma partorita dal Robespierre di Pomigliano d’Arco, quello che non azzecca un congiuntivo, pensa che Pinochet fosse venezuelano, ma pretende di dare lezioni di cultura ai “medioevali” e “sfigati” cattolici. Loro, i grillini, quelli che sponsorizzavano l’olio di serpente di Stamina, vengono a farci le lezioni di civiltà!

Ma anche la Lega, che fa? Finché terrà in piedi un esecutivo come l’attuale non potrà mai incidere come dovrebbe nel dare una svolta a questo malandato paese. Se in nome del “contratto” devi temporeggiare sull’autonomia, disinnescare la flat tax o qualsiasi norma abbatti-tasse e ammazza-burocrazia, mettere in secondo piano interventi a favore della libertà educativa e d’impresa, dove vuoi arrivare?

Si tratta, nell’immediato, di sostenere quelle forze che fanno riferimento alla tradizione popolare e riformista, ma in prospettiva di lavorare perché la loro voce (oggi piuttosto afona e malconcia) torni a farsi sentire e rappresentare. Non è tutto deserto intorno a noi. Esistono ancora realtà e persone per le quali “pubblico” non è sinonimo di “statale” e per progresso non si intende la riproducibilità tecnica della vita umana in laboratorio. Esistono ancora idee, esperienze, modi di pensare in contropiede (come l’idea di “dono” spiegata da Bernardino Casadei qui a pagina 36) che meritano di essere valorizzate attraverso leggi adeguate.

Per questo, il compito che ci aspetta è ben più arduo del semplice voto o della (pur sacrosanta) difesa della famiglia costituzionale. Qui si tratta di “fare popolo”, cioè riscoprire il senso che ci tiene insieme. Perché, come diceva Hannah Arendt, «nella società contemporanea le forze di un singolo individuo possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere un’esistenza umana. Solo nell’ambito di un popolo l’individuo può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini».

Foto MikeDotta/Shutterstock

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