Io, bisessuale cresciuto da una lesbica, vi dico la verità sui figli delle coppie omosessuali

Pubblichiamo ampi stralci della lettera inviata da un professore californiano a una rivista: «I figli di coppie Lgbt vivono in case con un ambiente anomalo e hanno difficoltà nel comprendere i loro coetanei e nel farsi capire da loro»

Dopo la pubblicazione del più ampio studio americano sui figli degli omosessuali, e in seguito alle polemiche contro il suo autore, Mark Regnerus, che ha segnalato i rischi e le problematiche dei bambini cresciuti da coppie omosessuali rispetto a quelli cresciuti da genitori naturali, alcuni attivisti Lgbt (Lesbo Gay bisexual transgender) hanno sconfessato lo studio usando come argomentazione il fatto che i bisessuali non possano essere inclusi negli studi di questo tipo. Così da negare ogni coinvolgimento con gli esiti dei problemi connessi all’educazione da parte di persone con attrazioni sessuali esclusivamente rivolte a persone dello stesso sesso. Questa lettera del 29 agosto scorso, scritta da Robert O. Lopez, professore di Inglese in California, bisessuale cresciuto da una lesbica, destinata al direttore della rivista The Chronicle of Higher Education, dimostra il risentimento di un uomo che non ha mai potuto parlare apertamente di sé perché messo a tacere dal mondo che dice di difenderlo, ma che ora, per giustificarsi, «squalifica i bisessuali».

«Con tristezza – scrive Lopez – leggo l’articolo: “Il controverso studio sui genitori Gay è severamente viziato, controllo di dati da parte del giornale” (The Chronicle, 26 luglio). L’articolo ha dato molta attenzione alle opinioni di Darren E. Sherkat. Le critiche del professor Sherkat’s implicano che ogni studio che include i genitori bisessuali debba essere immediatamente squalificato». Proprio come bisessuale Lopez si dice «esterefatto dalla superficialità del Professor Sherkat’s».

Il professore californiano fa anche notare la contraddizione di un mondo che ha come «logica l’uso di parole come “Lgbt” o “queer” per includere persone bisessuali come me. Lo stesso vale per le lesbiche come mia madre, che hanno avuto bambini in matrimoni poi finiti con il divorzio». Ma, «se non andiamo bene per una ricerca sociale, allora smettetela di reclamare sui numeri e ritirate subito l’acronimo». Non solo, per il lettore «è inescusabile l’atteggiamento sprezzante del Professor Sherkat’s verso il 248 individui, identificati nello studio di Mark Regnerus, che è stato prodotto da lesbiche, gay, bisessuali e genitori transgender». Poi l’affondo: «Se anche queste storie non sono in linea con l’agenda delle organizzazioni come la Human Rights Coalition (la più grande lobby Lgbt d’America, ndr), persone come me, che sono state cresciute da coppie dello stesso sesso e ora hanno la maturità per raccontare la propria storia, non dovrebbero essere messe a tacere». Lopez sottolinea anche «la mancanza di studi seri», e il fatto che un sociologo sia stato «il primo studioso a mostrare un interesse reale alle sfide presenti nella nostra vita, lasciandoci parlare come adulti». Un fatto questo che «rivela le mancanze degli studiosi e degli attivisti gay». Lo studio, si legge, «ha messo sotto i riflettori i troppi minorenni provenienti da nuclei familiari Lgbt usati per avanzare la retorica dei diritti gay, quando si sa che i bambini non sono abbastanza liberi o sviluppati per parlare con sincerità e realismo riguardo a cosa significhi crescere con un genitore Lgbt».

Lopez precisa anche di non essere fra gli intervistati dello studio di Regnerus, ma di essere entrato in contatto con lui dopo aver lasciato anche la sua storia tra i commenti. «Mia madre e la sua compagna sono state le mie prime figure di riferimento dal 1973 al 1990, quando mia madre morì». La scoperta delle proprie tendenze bisessuali si chiarì nel 1989, quando Lopez frequentava l’università di Yale: «Nel 1990 ho cominciato a scrivere della mia rara esperienza come figlio di una lesbica, ma nessuno voleva accostarsi alla mia storia, perché non esaltava l’agenda dei genitori gay. In 23 anni, anche se il dibattito a riguardo dei diritti gay si è scatenato intorno a me, nemmeno una persona, almeno di quelle interessate alle questioni omosessuali, mi ha chiesto di parlare sinceramente della mia infanzia in una casa gay».

Mentre, prosegue il Lopez, «Mark Regnerus è stata la prima persona che mi ha dato una chance di parlare onestamente di quanto sia difficile e di quanto mi sia sentito diviso nel mettere altri bambini nella stessa situazione. Il suo tono è rispettoso, la sua curiosità ben intenzionata, e il suo coraggio encomiabile. Di certo è difficile crescere in una casa così diversa da quella dei tuoi coetanei. Come può accadere anche ai bambini cresciuti in case di fede ortodossa, bambini che studiano in casa con i genitori, adottati, o bambini così benestanti che sono allevati dalle tate».

Poi Lopez specifica le difficoltà proprie dei figli degli omosessuali: «Vivono in case con un ambiente anomalo e hanno difficoltà nel comprendere i loro coetanei e nel farsi capire da loro. Le loro difficoltà rendono difficile l’adattamento sociale, che è quello che il Professor Regnerus ha scoperto nel suo studio. Lontano dal vedere il suo studio come un insulto, lo vedo come una conferma». Poi l’amara gratitudine, per il fatto che è «la prima volta nella mia vita, da 41 anni, che qualcuno finalmente ha riconosciuto che il modo con cui sono cresciuto è stato difficile e che non è stata colpa mia». Infine Lopez denuncia non solo l’omertà, ma l’impedimento di parlare di sé: «È tragico che il momento dell’affermazione e della possibilità di parlare onestamente della mia infanzia sia venuto dopo che Mark Regnerus mi ha contattato, al contrario dei molti studiosi devoti alla difesa dei Lgbt. Ma è così che è andata».

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