In tempi di crisi, cosa conviene fare? Facile: investire in bellezza

Dalle aste milionarie alle fiere “low cost”, il mondo dell’arte offre sempre più alternative a chi è in cerca di un dividendo. Economico ed estetico. I consigli per orientarsi in un mercato che oggi più di ieri punta sulla qualità

Il quadro che fa il suo ingresso, la base d’asta dichiarata come un dettaglio che presto verrà spazzato via, il martelletto del battitore pronto a consacrare le offerte spesso avanzate da anonimi milionari collegati via telefono. Il copione andato in scena qualche settimana fa da Sotheby’s a Londra ricalcava quello con cui tanti capolavori sono assegnati in passato a personaggi dal portafoglio agile e dal gusto deciso. Lo stesso copione con cui, nel maggio scorso, la casa d’aste ha assegnato l’Urlo di Munch (una delle quattro versioni esistenti) per 120 milioni di dollari. Bruscolini se paragonati ai 250 milioni di dollari che la famiglia reale del Qatar ha sborsato per una versione dei Giocatori di carte di Paul Cezanne in una transazione privata resa nota solo mesi dopo. All’inizio del 2011 gli sceicchi polverizzarono il record di prezzo più alto mai pagato per un’opera d’arte, fino ad allora detenuto da Numero 5 di Jackson Pollock venduto per 140 milioni di dollari nel 2006. Il 12 ottobre scorso è stata la volta di un altro record: la cifra più alta mai pagata in un’asta per il quadro di un artista vivente. Per 21,3 milioni di sterline (pari a 34,2 milioni di dollari) è stato infatti assegnato a un anonimo milionario (il gossip artistico parla di un collezionista russo) il dipinto Abstraktes Bild (809-4), opera del pittore tedesco Gerhard Richter e appartenuto a Eric Clapton. Il musicista pagò quella tela poco più di tre milioni di dollari nel 2001. Nel frattempo Richter è diventato uno dei pittori più apprezzati dal mercato e le retrospettive dedicategli dalla Tate Modern e dal Centre Pompidou l’hanno reso noto anche al grande pubblico. Risultato: uno dei dipinti astratti che il maestro tedesco affianca alla altrettanto florida produzione figurativa, viene pagato una cifra enorme, grandiosa, tale da uscire dai giornali di settore e sfondare le pagine dei quotidiani generalisti, come una meteora che arrivi a rivelare la presenza di un mondo bizzarro, sconosciuto e apparentemente del tutto impermeabile alla crisi. C’è ancora qualcuno che di soldi ne ha. E parecchi, osserva l’uomo della strada. Ma davvero basta un capolavoro venduto per un sacco di soldi a dire che il mercato dell’arte non sente la crisi? Oppure ci sono confini ed equilibri che si stanno ridisegnando in un universo che, come è evidente, non è fatto solo di collezionisti sceicchi, ma anche di appassionati di medio livello o semplicemente di risparmiatori che cominciano a pensare a nuovi modi per investire qualche gruzzoletto?

«Di certo quello dell’arte si è rivelato un mercato anticiclico», osserva a Tempi Claudio Borghi, economista ed editorialista del Giornale e docente di Economia degli intermediari finanziari ed Economia e mercato dell’arte presso la Cattolica di Milano. «Nel 2008 c’è stato un accenno di calo dei prezzi, ma si è trattato più che altro di una pulizia del mercato. Tanti nomi che andavano bene grazie a un’euforia generalizzata sono venuti meno ed è cominciata una selezione sulla qualità. L’ingresso dei cosiddetti nuovi ricchi, provenienti dall’Est Europa o dai paesi arabi ha anzi alzato ancora di più l’asticella, tanto per gli artisti internazionali quanto per gli italiani». Negli stessi giorni in cui si batteva il già citato Richter, infatti, l’asta di 20th Century Italian Art faceva registrare un top price per Piero Manzoni (Achrome, 1959), acquistato per 4 milioni di sterline da Stefan Ratibor di Gagosian.

«Quella dell’arte – spiega Giovanni Bonelli, giovane direttore dell’omonima galleria d’arte contemporanea con sede a Mantova – è una galassia in cui ci sono diversi pianeti. Ci sono fasce di collezioni diverse, progetti culturali diversi e potenziali clienti diversi. In questo momento ci sono certo in atto dei ridimensionamenti, ma anche delle opportunità. Quella ad esempio per una galleria d’arte di rivedere i propri progetti, di ricalibrarli, magari ridurre le spese a favore di un progetto più preciso. La crisi serve a selezionare».

I pianeti diversi hanno anche pubblici e fini diversi. Perciò non ci sono solo le aste “stellari”, ma anche fiere o manifestazioni che fanno dell’accessibilità economica il proprio punto di forza. È il caso di Affordable Art Fair, la fiera di arte contemporanea nata una decina di anni fa e ora diffusa in 17 città del mondo proprio con l’intento di proporre arte “low cost”, con pezzi che non superano i cinquemila euro. Limite di spesa a parte, è l’approccio stesso a presentarsi come accessibile, nel senso di semplice, immediato. Il sito di AAF, la cui prima edizione romana si è conclusa a fine ottobre (10 mila visitatori e circa 500 mila euro di opere vendute), è espressamente rivolto a chi vuole avvicinarsi al mondo dell’arte, con tanto di istruzioni su cosa scegliere di acquistare e come farlo. «Manifestazioni come Affordable Art Fair – riprende Borghi – possono essere utili per selezionare i gusti di un certo pubblico e, per i galleristi, per capire su quali artisti puntare. Spesso in quelle occasioni si trovano più che altro dei complementi d’arredo. Però a volte si trovano giovani interessanti. Io stesso ho acquistato all’AAF di Milano un’opera molto bella di Isabella Maria Vergani, un’artista molto promettente. C’è posto per tutti».

Come scegliere?
C’è posto anche perché cresce l’interesse intorno all’arte, in special modo quella contemporanea. E questo accade, secondo il professor Borghi, perché si è verificato un cambiamento che ha rivoluzionato il settore, allargandone ei confini e modificandone le regole. È il cambiamento tecnologico, ed è da lì che bisogna partire per capire cosa si è mosso nel mercato dell’arte nell’ultimo decennio, come Borghi argomenta nel libro che uscirà a gennaio per l’editore Sperling & Kupfer. «La banda larga di internet ha consentito il trasferimento di immagini di altissima qualità. Così si è aperta a tutti la visione del mercato. Sembra una banalità ma non lo è. Prima era l’esperto d’arte che doveva andare nella casa d’asta, confrontare il prezzo con quello trovato in galleria, andare alle fiere. Per sapere i costi e confrontarli doveva andare fisicamente nei posti giusti. Adesso gran parte di questa trafila si può saltare grazie alle nuove tecnologie. Anche il signor Rossi ormai può sapere facilmente che un quadro di un certo tipo in asta non è impossibile da trovare a 100 e questo gli dà un potere contrattuale diverso quando si trova di fronte a un mercante che gli chiede 300.». Così l’arte assume sempre di più le caratteristiche di un investimento. «Se di un bene posso conoscere e confrontare i prezzi – puntualizza Borghi – non sto spendendo ma sto investendo. Oltretutto col vantaggio che stiamo parlando di un bene reale: un quadro può conoscere oscillazioni di prezzo ma non fallisce, né si svaluta con l’inflazione».

Come scegliere allora? Le fiere, anche le più piccole, possono essere un buon modo per iniziare. Oppure si può affidarsi ad un art advisor, una sorta di consulente che prende per mano sia il collezionista alle prime armi o che quello più maturo aiutandolo ad orientarsi nel mercato. «Ma prima di tutto – osserva Borghi – bisogna informarsi, studiare e poi aprire bene gli occhi e il gusto, perché non si può scegliere se non ciò che ci conquista. Il quadro ha un dividendo estetico. Non è saggio acquistare un’opera solo perché si pensa che salirà di prezzo. Il quadro ci farà compagnia per un bel po’ di anni». Tanto dalla parte di chi compra, quanto da quella di chi vende il discorso della qualità ritorna centrale. «In un momento non semplice – rilancia Bonelli –, dove comunque la passione di un collezionista medio deve confrontarsi con ristrettezze economiche che prima non c’erano, fiere come AAF possono essere interessanti, ma serve una selezione. Sono convinto che ci sono dei giovani che costano poco e sono di grande qualità, però se dopo un certo periodo di tempo costano ancora poco vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Se ci sono due amici che cantano, entrambi bravi, ma dopo dieci anni uno si esibisce ai matrimoni degli amici e l’altro vende dischi in tutto il mondo è legittimo porsi delle domande. E la domanda è: chi ha incontrato questo artista? Che progetti ha portato avanti?». Ed è qui che Bonelli osserva con amarezza quanto il mercato italiano sia ingessato quando si tratta di scoprire e far crescere nuovi talenti. «I musei sono pochi e gli investimenti sull’arte contemporanea bassissimi. In più, in un momento in cui ci sono sempre meno soldi dalle istituzioni, i privati che fanno qualcosa non vengono valorizzati. Basti pensare che negli Stati Uniti un’azienda che voglia donare un’opera a un museo ha degli importanti sgravi fiscali e da noi niente».

Un bene di lusso o culturale?
Come accade in tanti altri campi i momenti difficili impongono chiarezza su quale idea si abbia del paese e dei suoi talenti. «Consideriamo l’arte un bene di lusso o un bene culturale? Le accademie che ogni anno fanno diplomare centinaia di ragazzi cosa le teniamo a fare se non siamo in grado di proporre un mercato in cui i giovani artisti che valgono possano trovare spazio?». Per Giovanni Bonelli la provocazione apre alla sfida da raccogliere in prima persona. Per questo il 29 novembre aprirà una piccola succursale della propria galleria mantovana a Milano, quartiere Isola, in via Porro Lambertenghi 6, nello spazio che fu di un tempio dell’underground come Binario Zero. Si parte con una mostra sull’architettura radicale degli anni Settanta quando professionisti lungimiranti cominciavano a ragionare sulla città sostenibile. «Ci buttiamo nella mischia, convinti che in un momento così si debba rischiare su progetti coraggiosi».

A proposito di nuovi progetti: a Milano ha appena aperto Cantiere del Novecento, nella storica sede della Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala sono esposte 189 opere provenienti dalla collezione di Banca Intesa San Paolo. «Sotto – osserva Borghi – nel caveau dove un tempo c’erano i soldi, adesso ci sono i quadri. Direi che è una immagine significativa».

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