Il taccuino si quota in borsa. Moleskine, un brand furbo con una storia da raccontare

Entro pochi mesi sarà presente a Piazza Affari. Il suo successo commerciale? Ispirato all'immaginario e al mito della grandeur artistica parigina ai tempi di Hemingway

Moleskine va in borsa. Nella sacca di tela dello scrittore, in una valigia di cartone di qualche poeta squattrinato, e ora anche in quella finanziaria Milano. Nero e solenne nella sua versione classica, il taccuino ha fatto la fortuna dell’azienda italo-francese che ne detiene il marchio. Così, uno dei brand più amati, più originali e più furbi, concepiti negli ultimi anni, compie un altro passo nella scalata che in poco più di dieci anni lo ha portato a sbaragliare ogni concorrenza.

L’IMMAGINARIO “MOLESKINE”. Solaio lugubre, pavimento scricchiolante, macchie di umido alle pareti. Una poltrona con i cuscini deformati e l’imbottitura in vista. Olezzo di muffa. Una classica stamberga. Ma basta aprire le persiane dell’abbaino, far luce e ricambiare l’aria, che nel pulviscolo, attraverso la polvere, si intraveda un tavolino di legno, un calamaio, fogli di carta. Non può esserci alcun dubbio su quell’agendina nera  in cima a una pila di libri. Senza dubbio: un moleskin. Custodito nella copertura di fustagno, ci sarà qualcosa di importante. Guardandosi attorno, quella che prima era una stamberga, ora è l’alcova di un artista. Non è intrisa di squallore ma, al massimo, impermeata da un’atmosfera di decadenza. Aristocratica. E a guardar bene, fuori, c’è l’antico panorama di Montparnasse, e sulle tegole dei tetti i piccioni tubano e i gatti prendono il sole. Sarà un’iperbole, ma è pienamente giustificata dal fascino evocato dal celebre taccuino. Naturalmente, il marchio non si limita a sedurre il cliente con l’immaginario dell’aspirante artista medio. Oltrepassa i confini delle pulciose mansarde parigine e, con la grazia delle sue forme e del suo mito, stuzzica il gusto di tutti i clienti, che si lasciano sedurre dalla cancelleria. Sì, perché non si parla di una normale agenda, ma del quaderno che avrebbero usato scrittori famosi del calibro di Ernest Hemingway e Oscar Wilde. Cioè famosi, ma mica come Luciana Litizzetto o Fabio Volo, che al massimo useranno il quaderno grande a righe grosse. Era adoperato anche dai pittori. Pablo Picasso, per dirne uno, sembra proprio non poterne fare a meno.

UNA STORIA IMPORTANTE. «Non ho soldi, né risorse, né speranze» dice Henry Miller, in Tropico del Cancro. Ma, sicuro, aveva un taccuino su cui scriverlo. Forse, lo teneva nella tasca interna del pastrano, al posto del portafogli. Stando alla sua testimonianza letteraria, non c’erano solo lui, Picasso e compagnia bella, in quegli anni, a bazzicare i quartieri artistici della città, come vorrebbe Woody Allen. Non erano solo scrittori e pittori famosi, ma migliaia di disoccupati, provenienti da tutto il mondo, che avevano intrapreso la strada dell’arte. E tutti a Parigi, in quegli anni, avevano un “moleskin”, anche se non tutti, grazie a questo, superarono brillantemente l’esame con le muse. Ciò che alla lunga dovette fare la differenza, fu l’esodo degli artisti da Parigi, che contribuì a segnare la fine della sua epoca d’oro e, soprattutto, quella delle sue cartolerie. L’epilogo di questa storia l’ha narrata Richard Chatwin, autore di libri di viaggio e creatore del soprannome “moleskin”. Nel dopoguerra, i produttori di taccuini francesi tirarono a campare, ma non ci fu verso: nel millenovecentottantasei chiuse l’ultima azienda di taccuini. Grazie a Chatwin, però, dieci anni più tardi una casa editrice di Milano, ebbe l’idea che avrebbe potuto farli tornare alla moda. Aggiunse una “e” a moleskin, che in inglese significa “pelle di talpa”, e registrò il marchio. Voilà, il taccuino dell’età dell’oro parigina. Moleskine.

UN’ INVENZIONE VINCENTE. IL TACCUINO. Un taccuino con l’anima vintage, che non è semplicemente nero ma color pelle di talpa, è scontatamente intellectuelle e, più di tutto, vincente. Unico. L’idea di registrare quel nome e di indentificarlo con il taccuino della grandeur artistica parigina fu geniale. Identifica quel tipo di agenda, quello degli scrittori, degli artisti, dei pensatori. Il taccuino figo. In breve tempo, si passa dalla produzione iniziale di cinquemila copie a dieci milioni di taccuini, venduti in sessantuno paesi. Nel 2006 la piccola azienda milanese non riesce a stare dietro alla domanda, e poco tempo dopo viene acquistata da un’azienda francese, per 150 milioni di euro. Il suo inventore, Francesco Franceschi, detiene ancora il 10 per cento. L’ultimo passo, la quotazione nella borsa di Milano.

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