Il secondo terremoto dell’Aquila

Il sisma non si è portato via solo anime e case, ma anche speranze e luoghi d’incontro. Due anni dopo, alcolismo, divorzi e separazioni sono in aumento. Ma c’è una “città” nella città in cui non ci si arrende a vivere da sfollati. Tutti i numeri della ricostruzione

Erano le 3.32 del 6 aprile 2009 quando all’Aquila si registrò la distruttiva scossa di terremoto. Trecentotto persone morirono, 1.600 rimasero ferite, circa 65 mila gli sfollati. Oggi, due anni dopo, sono 22.989 le persone alloggiate in soluzioni a carico dello Stato; 13.800 quelli nelle case, 7 mila nei moduli abitativi provvisori. Nelle strutture ricettive e di permamenza temporanea (due caserme all’Aquila) vivono ancora 1.300 persone, pur tuttavia la metà di coloro ancora ospitati a dicembre 2010.

L’Aquila, due anni fa, reagì con tenacia alla tragedia, ma oggi la città appare ripiegata a leccare le ferite rimaste nell’anima. Mario è un dirigente statale, «aquilano di sangue», dice. Lui stesso è stato colpito dal terremoto. Con la moglie e i due figli, di 16 e 11 anni, oggi vive in una delle celebri casette. «Non mi lamento. Diciamo che abito in un residence. È come se fossi in “vacanza”. Solo che dura da un anno e mezzo e ora voglio tornare alla mia abitazione». Racconta: «Non si può parlare di una vera “ricostruzione”. C’è stata una complessiva “messa in sicurezza”. Le gabbie di metallo, i puntelli, funzionano per preservare ulteriori distruzioni degli edifici. Delle migliaia di persone che abitavano in centro, i single e le giovani coppie senza figli sono spesso esclusi dai contributi dello Stato». Tace. Poi ricorda: «A volte ho l’impressione di vivere in auto. Non comunichiamo più tra noi, è come se vivessimo facendo avanti e indietro in macchina. L’Aquila oggi è una città di non luoghi. Una volta, in centro, la gente passeggiava, si fermava per l’aperitivo, ci si conosceva un po’ tutti. Oggi la zona rossa è una città di fantasmi. E anche se una decina di imprenditori hanno riaperto delle attività, per dare una dimostrazione, è tutto deserto».

Il cuore della nuova Aquila è una statale trafficata che conduce all’imbocco dell’autostrada. Niente edifici rinascimentali, niente acciottolati su cui si inerpicavano i tacchi delle signore a passeggio. Niente vetrine illuminate. «Mio figlio maggiore ama la musica e gli scout. Mi dice: “Papà, io non voglio sprecare la mia vita”. Allora l’abbiamo iscritto al conservatorio: è faticoso, ma lo faccio. C’è poi la Città dei ragazzi. È un punto vivo: alcuni professori hanno riutilizzato i cointainer nella zona di Sant’Elia per fare studiare i giovani. Cantano, preparano anche dei piccoli spettacoli. È una piccola “diversità”. Molti dei nostri ragazzi oggi passano i pomeriggi in un centro commerciale o lungo la statale. Spazi improvvisati, costruiti senza un organico piano regolatore: alcuni commercianti del centro rimasti senza attività, si sono “reinventati”. Uno ha preso un autobus a due piani e ci ha fatto un pub; un altro ha riadattato una casetta di legno. Sono un simbolo della nostra precarietà. Non a caso, tra i nostri giovani, è in aumento l’alcolismo».

Secondo l’Istituto nazionale della sanità, la media di bevitori a rischio tra i 16 e i 30 anni è all’Aquila più alta di quella nazionale. Per Rocco Pollice, psichiatra dell’Università dell’Aquila, autore della ricerca, «dilaga il “binge drinking”. Si beve non tanto per ubriacarsi, ma alla ricerca dello sballo completo, che porta alla completa alienazione dal mondo. Si beve per alleviare la propria ansia e riuscire a superare momenti di particolare angoscia». Cosa sta succedendo? «Il sisma ha fatto affiorare cose latenti nel nostro animo», dice Mario. «Vedevamo dispiegarsi la generosità delle persone nei nostri confronti. Io stesso sono cambiato. Ho incontrato per caso alcuni volontari: è stato come se li conoscessi da una vita, li sentivo come fratelli. Ma vedo anche che per molti, dopo, è come se il dolore o la solidarietà siano stati abbandonati a se stessi.

Anche la politica è rimasta in balia di interessi personali: il consiglio comunale che va deserto quando deve decidere di nuovi fondi, il sindaco Massimo Cialente che si dimette e poi ritira le dimissioni. L’ex presidente della Provincia, Stefania Pezzopane, che non viene eletta, ma è nominata lo stesso assessore alla ricostruzioni. Serviva una road map, con un obiettivo: è mancato un piano strategico anzitutto tra gli amministratori locali. Non abbiamo visto un progetto che coinvolgesse la città. La nostra facoltà di ingegneria è di alto livello, ma nessuno dei professori è stato coinvolto nella ricostruzione: il rettore piuttosto ha lottato per avere più studenti iscritti, cosa che dà maggiore lustro. Viviamo un po’ alla giornata».

Monsignor Giovanni d’Ercole, vescovo ausiliario dell’Aquila, ha raccontato ad un blog locale: «L’Aquila è come una persona colpita da un ictus, i medici la possono salvare ma poi c’è bisogno di una lunga e dolorosa riabilitazione, la ricostruzione. Da dove partire per ricostruire? Nel frattempo, che cosa fare? Non soltanto sono cadute le case, la gente ha perduto il lavoro, le famiglie si sono disgregate e le persone sono sempre più sole. Divorzi e separazioni nel 2010 sono raddoppiati. Ho un timore, che si finisca per abituarsi a tutto questo. Il nostro compito è tenere viva la speranza. Credo sia necessario prendere le distanze dalla politica partitica, dalle contrapposizioni ideologiche. Non aiuta, non serve. Bisogna rimboccarsi le maniche. Io sono stato colpito da alcuni ragazzi: “Siamo stanchi di stare al centro commerciale, ci serve un’alternativa”. Il terremoto ha suscitato in alcuni un grande bisogno di sicurezza, di non essere abbandonati. In altri invece rabbia: “Perché Dio ha permesso tutto questo?” Rispondere non è semplice, ma la priorità è sostenere le persone in questo cammino».

Impastare le mozzarelle
Angelo Rossi è preside di un grande liceo di Pescara. Nel 2009 è stato tra i volontari che hanno creato la Città dei ragazzi: «“La Città” era in una tenda. Facevamo studiare e cantare bambini e adolescenti. Le famiglie si fermavano a pranzo e a cena. Ho abbracciato più persone allora che nella mia vita. Cosa puoi dire alla gente che soffre? Ad un padre di famiglia che ti racconta che dopo il sisma ha ripreso a lavorare, a impastare mozzarelle, ma per lo shock non si ricorda più come si fa? Gli aquilani hanno visto il dispiegarsi di una gratuità assoluta, si sono lasciati abbracciare. Un anno dopo il terremoto, una di quelle persone mi ha commosso. Mi ha detto: “Quello che è successo tra di noi non è accaduto solo per il terremoto. Non può essere che questa amicizia diventi come una strada per noi?”. Ho balbettato di sì, e la città dei ragazzi oggi va avanti».

Nel 2009 il Governo ha stanziato 14 miliardi 767 milioni di euro. Ad oggi sono disponibili 1, 088 miliardi di euro dai fondi per l’emergenza e per la ricostruzione, più 2 miliardi dalla Cassa depositi e prestiti. Di questi ultimi, al 31/03/2011 risultano
impegnati 583 milioni 303 mila, e concessi 582 milioni 224 mila. Dai fondi per l’emergenza risultano pagati 420 milioni 717 mila euro (di cui 53 milioni per le attività produttive, 191 milioni per il comune de L’Aquila). Dai fondi per la ricostruzione sono stati versati 398 milioni 796 euro.

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