Il metodo Mattei. Intervista a Giulio Sapelli

«Comprese il ruolo dell’industria degli idrocarburi nell’avvicinare popoli diversi. Anticipò gli eventi, incurante dell’odio che attirava la sua politica. E lasciò una grande lezione di fedeltà all’impresa»

 Professore ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano e visiting professor di molte università internazionali, Giulio Sapelli ha dedicato molti anni di studio e di ricerca ai problemi dell’energia, del suo management e della sua industria e ha operato a più riprese e in differenti vesti all’interno o per conto dell’Eni. Tra i suoi lavori si ricordano (con F. Carnevali), Uno sviluppo tra politica e strategia ENI (1953-1986), Franco Angeli, Milano, 1987, (con L. Orsenigo, P. Toninelli, C. Corduas), Nascita e trasformazione d’impresa. Storia dell’Agip Petroli, Il Mulino, Bologna, 1993 e Crescita, competenze e cultura d’impresa. La Scuola Superiore Enrico Mattei, Edizioni della Scuola Superiore Enrico Mattei, San Donato, 1996.
Dal 2002 è tra i componenti di Oil Council, il più grande network mondiale di dirigenti, operatori ed esperti del gas e del petrolio, che ha fra i suoi scopi quello di collegare compagnie, investitori e consulenti, di promuovere le best practice nell’industria dell’energia e di far conoscere le eccellenze industriali e le nuove opportunità di investimento. Dal 1994 è ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei, mentre fra il 1996 e il 2002 è stato Consigliere di Amministrazione dell’Eni e componente dell’Audit Committee del gruppo. Sulla figura di Enrico Mattei, soprattutto nel corso di quest’anno che vede celebrare il cinquantennale della morte, è intervenuto più volte con acute osservazioni.

Professore, perché Mattei era convinto fin dall’inizio che l’Agip, poi Eni, era un ente da valorizzare e non da liquidare?
Si convinse, almeno questo è ciò che sappiamo, quando venne a conoscenza delle scoperte che gli uomini della società avevano fatto soprattutto in Val Padana. Con la perforazione di Caviaga 2 nel 1946 si accertò che la capacità produttiva del giacimento era molto superiore a quella di tutti i ritrovamenti effettuati fino ad allora in Italia. Inoltre il gas era stato rinvenuto in un tipo di struttura che si sapeva essere frequente nella Pianura Padana. Quindi non era proprio il caso di chiudere un’azienda che aveva di fronte a sé un brillante futuro, almeno per il possesso di quel giacimento e di quelli che prevedibilmente sarebbero stati individuati.

Enrico Mattei era più un imprenditore o più un manager?
Era naturalmente un imprenditore, perché era andato a lavorare giovanissimo, aveva fondato giovanissimo con il fratello una piccola impresa chimica, quindi aveva tutte le caratteristiche, proprio da un punto di vista antropologico, di un imprenditore: era un innovatore, uno scopritore, un uomo che lanciava idee, però era anche molto attento all’esecuzione.

Mattei definiva l’Agip «non un’azienda di Stato, ma un’azienda dello Stato». Cosa voleva dire?
Certamente l’Agip era un’azienda di Stato perché apparteneva allo Stato in tutto e per tutto, ma sottolinenando che era “azienda dello Stato” voleva far capire che lui si considerava un civil servant, un funzionario pubblico al servizio della comunità, che doveva, attraverso l’Agip, migliorare la qualità di vita dei cittadini italiani. Anche oggi quel compito di servizio alle comunità umane rimane uno degli obiettivi delle imprese energetiche più potenti, soprattutto di quelle che in passato erano integralmente di proprietà pubblica.

Che cosa motivò Mattei a inaugurare la cosiddetta “formula Mattei” nei rapporti con gli Stati produttori di idrocarburi? Fu una mossa pragmatica, dettata dalla necessità di scalzare dalle loro posizioni dominanti quelle che lui chiamava le Sette Sorelle, o c’era anche una componente di motivazioni ideali?
C’era sicuramente anche una componente di motivazioni ideali, perché Mattei era uomo che per la sua cultura, per il tipo di vita che aveva fatto – non dimentichiamo che era stato un grande comandante partigiano, per l’esattezza vicecomandante del Corpo dei volontari della Libertà insieme a Luigi Longo, Ferruccio Parri e gli altri, sotto il comando militare supremo del generale Raffaele Cadorna jr., che poi siederà con lui in parlamento sui banchi della Democrazia Cristiana. Sì, c’era anche una profonda motivazione anticolonialista, c’era anche un ideale politico, e la convinzione che si dovevano possedere e sfruttare i giacimenti petroliferi e di gas nella cooperazione, anziché nello scontro e nello scambio ineguale fra Nord e Sud del mondo.

Non solo nei rapporti coi paesi produttori, ma anche sotto molti altri aspetti Mattei si è dimostrato in anticipo sui tempi e capace di grandi intuizioni: penso all’importanza attribuita alle campagne di promozione pubblicitaria e al ruolo della stampa. Da dove gli veniva, secondo lei, questa “preveggenza”?
Era una dote naturale. Mattei nasce come piccolo imprenditore, ma poi apprende molto velocemente, riflette su quello che capita attorno a lui, e quindi tutto ciò gli dà una dote particolare di anticipatore, che poi è il segreto dei grandi imprenditori fondatori.

In particolare Mattei puntò sulla valorizzazione dei giovani, inserendone molti che poi avrebbero avuto brillanti carriere anche fuori dell’azienda, quando ancora il Sessantotto e il suo giovanilismo erano lontani. Perché riteneva importante puntare sui giovani?
Sapeva che i giovani sono una grande forza di cambiamento perché aveva fatto esperienza di questo nella sua stessa persona. Era andato a lavorare come operaio da giovanissimo, era diventato imprenditore ancora in giovane età e nella Resistenza aveva conosciuto l’entusiasmo e lo spirito di sacrificio dei giovani partigiani.

Oggi Mattei è unanimemente ricordato come un eroe italiano, ma nei suoi tempi fu ferocemente criticato: è stato accusato di avere introdotto la corruzione nella vita politica, di avere inventato il finanziamento illecito ai partiti, di avere rafforzato politicamente l’Unione Sovietica e materialmente il Pci con l’affare del petrolio sovietico. Lei cosa pensa di queste accuse?
Il critico più feroce di Mattei in quegli anni era Indro Montanelli, che dopo la sua morte scrisse un pezzo commosso ma non ritirò veramente le sue accuse. Avrebbe dovuto pentirsi pubblicamente di quello che aveva scritto e detto, e invece non lo ha mai fatto. Oggi a Milano c’è un monumento a Montanelli ma non esiste un monumento a Mattei: questa la trovo una cosa molto spiacevole. Questa dimenticanza lascia pensare che per certi versi sia stata premiata la calunnia, gli attacchi pretestuosi contro una brava persona. Rimane nei confronti di Mattei un profondo senso di ingiustizia. Ha avuto la sorte di subire ingiustizie in vita e ha la sorte di continuare a subirne dopo la morte.

E sullo specifico delle accuse cosa ha da dire?
Erano tutte false. Mattei non ha creato nessun partito suo personale, sedeva in parlamento nelle file della Dc. Era oggetto di una campagna di calunnie, per controbatterle ha dovuto fondare un giornale, Il Giorno. Si trattava di accuse mosse da persone che avevano rapporti particolari ed occulti con quelli che erano i grandi concorrenti di Mattei che, lo voglio sottolineare, non sono mai stati gli americani, ma piuttosto altre compagnie europee.

Di solito lo si descrive come un nemico delle Sette Sorelle…
Assolutamente no. Mattei è morto – ed è stato ucciso – poco tempo dopo che aveva concluso un accordo con la Esso. Non sono stati gli americani ad ucciderlo.

Su questo torneremo dopo. Cosa pensava Enrico Mattei della realtà politica dell’Italia del suo tempo? E che cosa della realtà politica internazionale, che allora era dominata dalla Guerra Fredda e dal processo di emancipazione delle colonie e delle ex colonie?
Pensava che fosse una situazione che assegnava ai cattolici democratici un grande ruolo propulsore soprattutto nel solco unitario tracciato dalla lotta partigiana. Mattei continuò sempre a fare quella politica. Invece nella politica internazionale era dominato da un’ansia di aiutare i popoli soggetti al colonialismo. Questo spiega tutta la sua politica, che è poi stata la causa del suo tragico assassinio.

Qual era l’aspetto più geniale di Mattei, e qual era invece il suo punto debole?
Il punto geniale di Mattei è che aveva capito fino in fondo che l’industria degli idrocarburi è un’industria di interconnessioni, che collega tra di loro popoli, culture, stati di avanzamento nella crescita economica diversi. Il punto debole, è di aver certamente sottovalutato nel contesto internazionale l’enorme odio che questa politica stava sollevando contro di lui.

S’è scritto molto sul modo in cui è avvenuta la sua morte, sull’incidente di Bascapè. Lei che idea si è fatto?
Non ho mai avuto dubbi: Mattei è stato ucciso dall’estrema destra francese, che lo aveva già minacciato di morte per l’appoggio che aveva dato e dava alla lotta degli algerini per la loro indipendenza. Non a caso quell’attentato avviene nello stesso periodo dell’attentato a De Gaulle organizzato da quella stessa estrema destra; fortunatamente per il generale e per la storia della Francia quell’attentato non è andato a buon fine, ma quello contro Mattei – nel quale ha un ruolo importantissimo dal punto di vista della sua realizzazione la mafia italiana – invece riesce. Non ho mai avuto dubbi su questo, non ho bisogno di vedere le carte giudiziarie. C’è una verità storica più evidente di quella giudiziaria.

Un attentato dell’Oas (Organisation armée secrète, il gruppo politico-militare clandestino che voleva mantenere l’Algeria sotto il controllo francese; ndr)?
Certamente.

Esiste un’attualità di Mattei oggi, o è un personaggio legato irrimediabilmente alla sua epoca?
L’attualità di Mattei è quella che abbiamo detto sopra. Anzitutto, tutte le sue idee si sono avverate: oggi l’80 per cento delle riserve di idrocarburi sono nelle mani degli Stati e non più delle compagnie, la sua politica era genialmente intelligente. Questa idea dell’industria degli idrocarburi come industria che collega e non divide è ciò che abbiamo sotto gli occhi, ogni giorno ne abbiamo una conferma. Oggi abbiamo addirittura accordi fra compagnie per sviluppare giacimenti di Stato, e questi accordi vengono presi fra compagnie private e compagnie di Stato. Tutte le idee di Mattei si sono verificate esatte. Quindi è stato un uomo che ha previsto esattamente quello che sarebbe accaduto a livello internazionale nell’industria degli idrocarburi. Poi Mattei rappresenta una lezione attuale in termini di disinteresse personale, di frugalità dei costumi, di fedeltà all’impresa. Quando morì, il Consiglio di amministrazione dell’Eni dovette stanziare una pensione vitalizia per la signora Greta, la moglie. Perché Mattei girava lo stipendio che prendeva dall’Eni ad un convento di clausura di Matelica, la città dove è cresciuto. Non prendeva lo stipendio perché non voleva essere accusato di essere in conflitto di interessi, in quanto col fratello aveva continuato ad essere il proprietario di una piccolissima impresa chimica. Quando Mattei morì, la signora Greta non aveva neanche una casa degna della moglie di un tale marito. Mattei a Roma alloggiava in un hotel e a San Donato Milanese viveva in una casa uguale a quella che avevano gli altri dipendenti dell’Eni. Mattei è stato per un certo periodo l’uomo più importante d’Italia, la Bbc gli dedicò un bellissimo documentario, che gli rendeva onore, dove però lo si descriveva erroneamente come un grande tycoon, un milionario. La verità è che ha dato un esempio di integrità cristiana che va ricordato, soprattutto a fronte dei trattamenti economici favolosi dei manager di oggi.

@RodolfoCasadei

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