Il matrimonio tra Will e Kate mostra la crisi della monarchia inglese

Il 70% dei britannici vuole la monarchia ma solo il 23% dichiara che guarderà il matrimonio tra il principe William, erede al trono, e Kate Middleton. Gli altri faranno ponte. Tanta indifferenza è dovuta all'estinzione dei valori di cui la monarchia è simbolo: l'aristocrazia, le forze armate, la Chiesa anglicana, il potere centralizzato. Così si spiega anche il mancato invito di Tony Blair

Il 70 per cento dei britannici si definisce sostenitore della monarchia, ma i britannici che dichiarano di provare indifferenza per il matrimonio che il prossimo 29 aprile si celebrerà fra Catherine Middleton e il principe William, erede al trono, sono anche loro il 70 per cento. Dunque, se dobbiamo credere ai sondaggi, la monarchia dei Tudor non è sull’orlo della disparizione, come ipotizza oggi un editoriale di Le Monde, ma si può obiettivamente affermare che nei suoi riguardi i britannici versano in stato confusionale.

Non si spiega altrimenti perché, mentre l’opzione repubblicana non raccoglie più del 13 per cento di consensi (contro il 19 per cento di sei anni fa, ultima inchiesta), solo il 28 per cento dei sudditi di sua maestà dichiara che seguirà la cerimonia nuziale in tivù, mentre il 45 per cento esclude categoricamente tale possibilità. Per i britannici il matrimonio del secolo è soprattutto l’occasione per prendersi un bel ponte: trattandosi di un appuntamento fissato nella settimana successiva a quella pasquale e alla vigilia della festività del 1° maggio, per molti è stato sufficiente chiedere tre giorni supplementari di ferie per avere a disposizione una vacanza di undici giorni. Che 3,5 milioni di persone (pari al 5 per cento della popolazione del Regno Unito) hanno sfruttato per andare a riposarsi o a divertirsi all’estero.

Apatia è la parola giusta: oggi l’istituzione monarchica non suscita più passioni. Per paura dell’ignoto i britannici preferiscono mantenerla, ma senza più amarla veramente e riconoscersi in essa. E la ragione è l’appannamento o addirittura l’estinzione dei valori di cui è stata e continua ad essere il simbolo: l’aristocrazia, le forze armate, la Chiesa anglicana, il potere centralizzato, l’impero. La Gran Bretagna del XXI secolo multirazziale e multireligiosa, post-cristiana e post-imperiale, impegnata in feroci tagli di bilancio alla Difesa e nella devoluzione dei poteri di governo alla Scozia e al Galles, assomiglia davvero poco a quella che Elisabetta II ereditò nel 1952.

Ed è proprio sui discussi mancati inviti alle nozze decisi dalla sovrana che si concentrano le dietrologie: com’è noto, sia Tony Blair che Gordon Brown sono stati esclusi dall’evento, mentre alle nozze di Carlo e Diana nel 1981 tutti e cinque gli ultimi inquilini di Downing Street erano stati invitati. La giustificazione ufficiale sarebbe che il matrimonio del 29 aprile non è una cerimonia di Stato, in quanto William non è successore diretto di Elisabetta, e quindi non c’erano ragioni protocollari per estendere gli inviti a tutti gli ultimi primi ministri. Ragioni che invece avrebbero giustificato l’invito indirizzato a due ex primi ministri conservatori come Margaret Thatcher (che ha declinato per ragioni di salute) e John Major in quanto membri dell’Ordine della Giarrettiera. Ma la vera ragione starebbe nel giudizio negativo di Elisabetta II sull’operato del più famoso ex primo ministro laburista vivente (l’esclusione di Gordon Brown sarebbe una specie di danno collaterale legato a quella di Tony Blair) in termini di degradazione dei simboli e dei valori tradizionali del Regno Unito.

Al creatore del New Labour la regina rimprovererebbe la devolution scozzese, le leggi pro-gay, l’interdizione della caccia alla volpe, la conversione al cattolicesimo, l’intervento in Iraq a supporto degli Stati Uniti e le pressioni esercitate su di lei al tempo della morte e del funerale di Lady Diana. Tutte decisioni che, effettivamente, hanno reso più complicato capire cosa significa oggi essere britannici e sudditi di un monarca della dinastia dei Tudor.

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