Il gioco del Khattab

Eltsin pressato da scandali e terrorismo. L’Armata Rossa frustrata. Ceceni in cerca della mobilitazione generale. Misteriosi emissari arabi a fomentare le rivolte. E una parola d’ordine per tutti: guerra Un mese dopo aver annunciato la completa sconfitta della guerriglia islamica in Daghistan l'esercito russo è di nuovo sul piede di guerra.

Verso la guerra aperta in Cecenia Ben lungi dall’essere stati sbaragliati i mujaheddin guidati dal signore della guerra ceceno Shamyl Basayev, e dal misterioso comandante arabo-giordano “Khattab”, hanno ripreso le infiltrazioni dalle montagne della Cecenia. A questo punto però la partita è diventata estremamente seria. Dopo gli attentati-carneficina attribuiti dalle autorità russe agli islamici, dopo i rimproveri e le accuse di incapacità rivolte da Eltsin ai propri generali, sembra delinearsi il rischio di un nuovo conflitto in Cecenia. Messi con le spalle al muro e umiliata dallo stesso presidente la vecchia Armata Rossa pretende una rivincita. Una buona parte del quartier generale dell’esercito preme per aver mano libera nel ricercare e distruggere i santuari della guerriglia. Come dire rientrare al di là dei confini ceceni e riprendere la sanguinosa guerra che dal 1994 al 1996 tante umiliazioni costò all’esercito di Mosca. Si tratta di un destino quasi obbligato. Quasi tutte le parti in causa la desiderano. L’establishment politico alla deriva di Eltsin ne ha bisogno per soddisfare un’opinione pubblica ormai esasperata. I generali la pretendono per veder riabilitato il proprio onore e avere un nuovo ruolo da giocare. L’attendono Basayev e compagni per estendere il grido della jihad (la guerra santa) a tutte le altre repubbliche del Caucaso. In questa corsa alla guerra Basayev e confratelli sono però quelli che più hanno da guadagnare. Un atto di guerra aperta contro la Cecenia causerebbe la mobilitazione di tutte le forze islamiche internazionali. In poco tempo il processo di dissoluzione russo e la crisi che attanaglia tutte le repubbliche ex-sovietiche assumerebbe le forme di una lotta di religione. L’esercito russo privo di una guida politica e costretto ad agire con il pugno di ferro avrebbe poche speranze di guadagnare il consenso internazionale. Il contesto è esattamente quello favorevole alle forze islamiche accusate di appoggiare gli insorti di Cecenia e Daghestan.

Wahabiti all’assalto del Caucaso Dietro a Shamil Basayev e a Khattab vi sarebbero le finanze wahabite. Fondato alla metà del 18° secolo dallo sceicco Muhammad ibn Abdula Wahab, il movimento wahabita punta all’utilizzo della forza come mezzo indispensabile per la diffusione dell’Islam nei paesi infedeli. Ma il wahabismo non è solo una setta dell’Islam. In Arabia Saudita, paese solitamente considerato filo-occidentale, questa versione dell’Islam è di fatto la religione di stato. La famiglia regnante di re Fahad discende direttamente dalla tribù che abbracciò il wahabismo e ne è a tutt’oggi una fedele interprete. Gran parte delle finanze wahabite arrivano dai forzieri dei principi sauditi.

Particolarmente inquietante in questo disegno la presenza del misterioso Khattab. Nella guerra cecena combattutasi tra il ‘94 e il ‘96 le motivazioni religiose erano ininfluenti rispetto a quelle nazionaliste. Lo stesso Shamil Basayev preferiva i proclami indipendentisti a quelli religiosi. La svolta probabilmente è stata segnata dall’arrivo di Khattab nel Caucaso. Più che un comandante militare questo misterioso personaggio di origini arabo-giordane svolge il ruolo di emissario e comissario politico-religioso. La sua presenza serve a garantire che i finanziamenti delle sette wahabite vengano utilizzati per trasformare in insurrezione religiosa quella che altrimenti sarebbe rimasta una semplice guerriglia nazionalista. Con un obbiettivo molto chiaro: esportare la jihad dalle montagne della Cecenia a tutte le repubbliche del Caucaso.

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