Il flop del malware DNS Changer. Attivissimo: bufala montata da titoli per fare clic

Doveva essere un'apocalisse, invece lo spegnimento del Server DNS Changer è passato senza che nessuno se ne accorgesse. Perché tutto questo allarmismo sulla stampa? Intervista al giornalista informatico.

A leggere gli articoli apparsi nei giorni scorsi, sembrava di leggere la trama di un cybertrhiller: internet oscurato, computer a rischio infezione, utenti sbattuti fuori dal web. Lunedì doveva essere la data fatidica dello spegnimento dei server DNS Changer, e su alcuni giornali ci si era scatenati con l’allarmismo, per una notizia che si è rivelata poi una bolla di sapone. «La storia di questo malware è in realtà stato un successo», spiega Paolo Attivissimo, giornalista informatico e blogger, che più di una volta si è speso per smascherare truffe e bufale on-line. «C’era una minaccia, i computer infetti erano tanti, sono stati ripuliti e quando è arrivato lo spegnimento non è successo niente. È stata una campagna di vaccinazione che ha avuto buon fine. Ma di questo sui giornali non se n’è parlato assolutamente».

Infatti, sembrava che dovessimo andare incontro ad una vera epidemia per i nostri computer. Invece la cosa è passata praticamente come se nulla fosse. Ci vuoi spiegare rapidamente perché questo malware ha prodotto questi danni così limitati.
Fondamentalmente perché è un malware di quattro anni fa, che aveva raggiunto il suo picco pochi mesi dopo, quando nel mondo c’erano 4 milioni di macchine infette. Poi pian piano gli utenti si sono accorti di questo, hanno aggiornato l’anti-virus e si sono ripuliti. Tranne una piccolissima parte, ma parliamo di 300mila su circa 1 miliardo di pc stimati in tutto il mondo. Lunedì è semplicemente stato il giorno in cui l’FBI avrebbe spento il server dove il malware dirottava la connessione internet degli utenti, cambiandone il DNS. Ma ormai di computer connessi ce n’erano pochi.

Ancora una volta però ha prevalso invece tra i giornali l’allarmismo, specie su Repubblica: è parso sospetto il loro comportamento, a partire di pubblicare un articolo con un titolo apocalittico, salvo poi attenuarlo dopo qualche ora.
Mi diverte. So benissimo che Repubblica legge me e altre fonti informatiche. La cosa che dispiace è che quando si parla di cose tecniche non si chiama mai un tecnico (e ce ne sarebbero tanti bravi a spiegare come stanno le cose), ma si preferisce il titolo sensazionale, che crea paura e confusione. Se questo succede nell’informatica – dove fare le pulci per gli errori risulta facile -, c’è da preoccuparsi per gli altri campi!

Perché questa riottosità a parlare con dei tecnici?
L’informatica viene presa molto sotto gamba. E poi c’è un dilemma fondamentale: un articolo simile genera tantissimi clic. Questo è un problema generale del giornalismo nell’era digitale: un pezzo con un titolo così vale perché la metrica per valutare se un giornale è letto o meno, è il numero di clic sugli articoli. Non è il gradimento, non è la qualità, ma la quantità. Questo articolo era sbagliato, ma è stato cliccatissimo perché aveva un titolo che tirava. Dal punto di vista del giornale lo scopo è stato ottenuto, se questo era fare audience.

Non ci si può nascondere neanche dietro ad un eccessivamente incauto spirito informativo?
No, perché i comunicati dell’FBI erano chiarissimi e i tecnici ne scrivevano da mesi. Bastava chiedere a qualunque persone con un po’ di competenza prima di scrivere delle righe allarmiste frettolosamente. Ma se l’avessero fatto, l’articolo sarebbe stato solo uno dei tanti corretti che ci sono sui giornali, e nessuno lo avrebbe letto.

Perché la gente abbocca sempre? Le condivisioni a questi articoli fioccavano tra Facebook e Twitter, segno che la gente era davvero allarmata. Eppure capita spesso di sentire simili allarmi, con pericoli che si rivelano spesso un’autentica bolla di sapone.
Penso che sia una combinazioni di fattori. Prima di tutto c’è poca conoscenza dell’informatica, e quindi quando si diffonde una notizia così ci si fida del giornale: se questo dice che sarà un’apocalisse, allora lo sarà davvero. E poi c’è il fascino della catastrofe: una notizia simile è gratificante condividerla. Se esce un advisor di Microsoft che mi dice di verificare il DNS del mio computer a chi interesserebbe? Una notizia come questa invece è soddisfacente mandarla in giro, darla per primo ai propri amici e aiutarli. È una situazione sbilanciata psicologicamente: le cattive notizie sono appaganti da condividere. C’è anche dietro il buonsenso di voler aiutare gli altri, nella buonafede di essere altruisti. Ma è una miscela che si rivela presto esplosiva.

@LeleMichela

Exit mobile version