Il facilitatore

S'indigna per le uova a Luxuria ma tace su Litvinenko. Per aiutare il Libano s'appoggia alla Siria. All'Onu aiuta gli amici di Chávez

Dove ci porteranno le furbate di Massimo D’Alema, la sua immarcescibile convinzione di essere più astuto degli altri, la sua doppiezza togliattiana fuori tempo massimo? Il ministro degli Esteri strizza l’occhio a Condoleezza Rice, loda la ritrovata ragionevolezza di Washington e intanto fa sabotaggio antiamericano al Consiglio di sicurezza Onu, in Somalia, in Afghanistan e persino in Europa orientale; proclama la discontinuità della politica estera del governo Prodi rispetto all’esecutivo Berlusconi, valorizza gli amici dell’ultrasinistra italiana in Medio Oriente come Hezbollah e Hamas e intanto conferma la presenza militare italiana in Afghanistan, invia nuove armi ai soldati e dà il via libera all’allargamento della base Nato di Vicenza. Logico che ogni tanto ci scappino vistosi incidenti di percorso, come il voto di sfiducia del Senato nel febbraio scorso o la disastrosa gestione del rapimento Mastrogiacomo. Anche perché a determinare gli orientamenti del titolare della Farnesina concorrono due fattori molto diversi. Il primo sono le intime convinzioni di D’Alema, che è davvero convinto che sia buona cosa, nell’interesse della pace e della cooperazione fra i popoli, ridimensionare il potere degli Stati Uniti nel mondo e affidare responsabilità a Stati canaglia e movimenti estremisti (ricordate l’intervista estiva all’Espresso: «Hamas ed Hezbollah non sono Al Qaeda. L’Ira e l’Eta da gruppi terroristici sono diventati movimenti politici. Dobbiamo incoraggiare questa metamorfosi in Medio Oriente»?). Il secondo fattore consiste nella necessità di compiacere una maggioranza parlamentare entro la quale il sostegno dell’ultrasinistra risulta decisiva. Il risultato che discende da tali premesse è il rafforzamento di diffuse convinzioni circa l’inaffidabilità dell’Italia e il cinismo della sua realpolitik. Lo confermano gli ultimi esempi di politica estera italiana stravagante in ordine di tempo: quelli che riguardano Russia, Siria e Venezuela.
È di pochi giorni fa un comunicato del ministero degli Esteri (Mae) che puntualizza la posizione del ministro circa i maltrattamenti patiti dagli onorevoli Cappato e Luxuria a seguito della loro protesta relativa alla proibizione del Gay Pride a Mosca. «D’Alema – si legge – ha espresso pieno sostegno e apprezzamento per l’iniziativa della Presidenza tedesca della Ue di chiedere chiarimenti alle autorità russe. Nel contempo, sono state date già istruzioni all’ambasciatore d’Italia a Mosca di esprimere alle autorità russe deplorazione per gli incidenti e di richiedere spiegazioni a sua volta affinché venga fatta piena luce sugli inaccettabili episodi di violenza che hanno coinvolto rappresentanti del Parlamento italiano ed europeo». Tanta assertività sorprende un po’, quando si considera che pochi giorni prima, quando la Russia aveva risposto picche alla richieste di estradizione dell’agente dell’Fsb incriminato dai giudici inglesi come il responsabile dell’avvelenamento di Aleksandr Litvinenko, la Farnesina aveva mantenuto un circospetto silenzio. D’Alema avrebbe dovuto sentirsi almeno un po’ imbarazzato, dal momento che nel dicembre scorso, di ritorno da una missione a Mosca, era stato lui ad annunciare all’Europa intera che «le autorità russe sono disponibili a collaborare con i paesi interessati alla vicenda di Litvinenko». Invece i russi hanno ribadito che non estraderanno mai un loro cittadino, nemmeno davanti a una montagna di prove, nel qual caso potrebbero semmai organizzare un processo in Russia a carico dell’indiziato. Dopo essersi fatti consegnare tutti gli incartamenti e riservandosi di convocare i testimoni, dissidenti amici di Litvinenko felicissimi di andare in trasferta nel paese di Putin. D’Alema era andato giù lievissimo con Mosca nella sua ultima intervista all’Espresso, arrivando a resuscitare gli argomenti filo-russi del Pci degli anni Cinquanta («Aprire un contenzioso sul monumento dell’Armata rossa in Estonia, che mi pare una persecuzione verso la storia, visto che il sacrificio dell’Unione Sovietica per bloccare il nazismo è un dato acclarato») e a bacchettare gli Usa per il progetto di scudo missilistico nell’Europa orientale che tanto fa innervosire i russi («Non era il momento di mettersi a piantare missili in Europa durante un dibattito di questo tipo» quello con la Russia sul futuro del Kosovo, ndr). Pur di tenersi amici i russi, indispensabili all’edificazione del vagheggiato mondo multilaterale e multipolare, D’Alema deforma la storia (l’Unione Sovietica ha combattuto il nazismo soltanto perché i nazisti l’hanno aggredita, prima di allora avevano firmato il famoso patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop) e critica l’opzione che dovrebbe permettere all’Europa di difendersi da eventuali testate atomiche iraniane, nordcoreane o di altri galantuomini benintenzionati. Quando però a patire offese è un parlamentare della maggioranza (Luxuria) cambia tutto: dovesse mai succedere che il partito del soggetto in questione (Rifondazione comunista) tolga il sostegno al governo.

Guardare Damasco
Capitolo Siria: D’Alema si vanta del ruolo svolto alla conferenza di Sharm el Sheik, dove l’Italia ha giocato al mediatore fra Stati Uniti da una parte, Iran e Siria dell’altra, come se fossimo un paese non allineato e non un membro della Nato e dell’Ocse. «Mi era stato assegnato, a quella cena, il ruolo di “facilitatore”, di “forza di interposizione”, visto il buon rapporto personale con la Rice e il fatto che Siria e Iran vedono l’Italia come il paese del dialogo». Tanto D’Alema è convinto di poter dialogare con la Siria sugli assetti del Medio Oriente che andrà a visitarla a giugno, poi al ritorno si fermerà a Beirut. Un approccio ben diverso da quello di Bernard Kouchner, il socialista ministro degli Esteri di Sarkozy che si è recato in Libano nell’ultima settimana di maggio a portare la solidarietà della Francia a un paese minacciato di destabilizzazione dal suo vicino. Per Kouchner il dialogo va fatto «con le personalità e i rappresentanti dei gruppi che sono favorevoli all’unità e all’autonomia del Libano, il che vuol dire che non dobbiamo parlare coi dirigenti siriani». Per quello italiano invece la questione della «stabilità del Libano» si gioca a Damasco, perché per uscire dalla «perdurante situazione di blocco politico» bisogna «chiedere il sostegno dei paesi della regione». D’Alema e Kouchner fanno parte dello stesso Partito socialista europeo.

Colpevoli omissioni venezuelane
L’ultima figuraccia riguarda il Venezuela: alle elezioni per i membri di turno del Consiglio di sicurezza Onu l’Italia si è astenuta quando si è trattato di scegliere il rappresentante latinoamericano. La scelta era fra il Guatemala, sponsorizzato dagli Stati Uniti, e il Venezuela dell’aspirante dittatore Chávez, sponsorizzato da specchiate democrazie come Cina, Russia, Bielorussia, Siria, Iran, ecc. Motivazione ufficiale dell’astensione: gli stessi latinoamericani erano molto divisi sulla scelta. Non c’è dubbio, ma è altrettanto vero che invece i paesi europei erano uniti: hanno votato tutti per il Guatemala tranne l’Italia.

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