Il Corriere della serra e il Parlamento della sera

editoriale 39

Il Corriere della Sera, come è noto, è il maggiore e, va da sé, il più autorevole dei quotidiani nazionali. Vanta una storia secolare ed è giustamente ritenuto il faro del giornalismo italiano. Dunque, non sia mai, che un giornalino corsaro come il nostro (che nel suo piccolo aveva anticipato in un numero datato 22 ottobre 1998, dunque un anno fa, le rivelazioni sull’Armando Cossutta e membri dell’ex-Pci al servizio del Kgb) pretenda fare le pulci alla più prestigiosa delle testate italiane. Ma ci chiediamo: passi che il quotidiano che nelle pagine milanesi si occupa anche del piccione svenuto in galleria piuttosto che del barboncino segregato in cantina possa ritenere di “nessun interesse”, ovvero, una “non notizia” il fatto che migliaia di universitari milanesi si raccolgano in assemblea per capire di più e ragionare su una tragedia come quella accaduta a Timor Est. Ma perché mentre il suo concorrente (Il Giornale) picchiava duro su quell’archivio Mitrokhin che proietta brutte ombre su cinquant’anni di vita politica italiana il quotidiano di via Solferino ha mantenuto per settimane un rigoroso silenzio stampa? E soprattutto perché, dopo settimane di silenzio assordante e rumori (almeno nelle redazioni) di imminenti rivelazioni sul ministro-spia, il Corriere ha affrontato per la prima volta il caso Mitrokhin con un titolo a sette colonne, “Quando la Cia ‘assolse’ Maccanico”, che è un titolo stranissimo, in cui bizzarramente veniamo nel contempo informati: a. che Maccanico fu segretamente sospettato per anni di essere una spia del Kgb; b. che per questo fu messo per anni segretamente sotto inchiesta; c. che da anni, segretamente, venne scagionato dall’accusa grazie a una segreta missiva che il numero uno della Cia (purtroppo deceduto) avrebbe inviato a ( e “solo per i miei occhi”, dice l’ammiraglio) Fulvio Martini; d. che, a partire dal 1985, neanche fosse il terzo segreto di Fatima, la “pratica Maccanico” sarebbe passata come segretissimo testimone da un presidente del Consiglio all’altro; e. che se Maccanico fosse diventato premier nel febbraio del ’96 (come in effetti stava per diventare) c’è da immaginare che probabilmente avrebbe trovato modo di risolvere l’affare segreto una volta per tutte? Forse perché il Corriere è stato così bravo e tempestivo da costringere qualcuno molto in alto a rompere la consegna del silenzio e presentare la notizia (“fin qui nota solo a pochissime cariche dello stato”) in maniera così completa e convincente (“vecchia informativa”, “la Cia ha archiviato da anni”) da non lasciare margini ad ulteriori illazioni. Mah! E comunque: in un modo o nell’altro il nodo Mitrokhin è venuto al pettine, sia che abbia ragione Frattini che ritiene l’affare Maccanico un depistaggio, sia che non abbia torto Gianni Baget Bozzo (come si leggerà in queste pagine) a pensare esattamente il contrario. Resta il fatto che, ad oggi (a fronte di dossier inviati da anni dagli inglesi e, a quanto pare, già in possesso del governo Prodi) abbiamo letto briciole di “verità” coltivate (e raccontate) in serra. Ad oggi, ore 24 del 4.10.1999, giorno di chiusura di Tempi. Chissà che già domani, primo giorno di inchiesta parlamentare sull’archivio Mitrokhin, sia un altro giorno, si vedrà. TEMPI

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