Il coronavirus è al Sud ma il Sud non lo sa

Sardegna. Ospedali impreparati, amministratori indecisi, medici lasciati soli. Cronache dal Meridione ai tempi del Covid-19

Tempio Pausania. C’è una risposta molto semplice alla perplessità avanzata da illustri testate (Il Sole 24 Ore) e stimati colleghi (Riccardo Cascioli) sulla apparente sproporzione tra i dati della Lombardia e il resto d’Italia sulle infezioni da coronavirus. La Lombardia sta dicendo tutta la verità e, nonostante le immense difficoltà, mantiene chiara visione e minuzioso controllo di quella che l’Oms ha dichiarato ufficialmente essere una pandemia.

Un esempio? Il caso Sardegna che ufficialmente dichiarava ancora ieri, 11 marzo, 37 casi. Quindici dei quali concentrati a Nuoro, ospedale dove, secondo il giornale locale La Nuova Sardegna, «mancano mascherine e guanti» non per i visitatori, ma per l’intera comunità di medici e operatori sanitari. Dopo di che oggi, giovedì 12 marzo, l’ospedale è ancora aperto nonostante la denuncia e la richiesta di dieci primari di chiudere ogni attività. Una fonte interna all’ospedale, un medico, conferma a Tempi che «dopo la notizia dei 15 infettati nessuno sa se siano stati fatti altri tamponi, ancora oggi lavoriamo senza mascherine senza guanti, e domani (giovedì 12 ndr) saremo al lavoro».

I dirigenti della locale Asl non rispondono ai primari. Nessuna autorità è in grado di fornire numeri su chi sia in osservazione, chi in quarantena, chi siano gli infetti dopo i quindici (tutti in ospedale) registrati nei giorni scorsi. Così, intanto che il governatore Christian Solinas pubblicava due ottime ordinanze delle quali una persino retroattiva (giacché sembrava che il terrore venisse dai lombardi sbarcati sull’isola a partire dal 24 febbraio), il virus si propagava dal cuore stesso dell’isola a causa di un baco grosso come una bomba biologica con detonatore nel più grande ospedale che c’è tra Cagliari e Sassari.

Le ultime voci raccontano che è stato mobilitato l’esercito per chiudere l’ospedale di Nuoro e aprire un ospedale da campo. C’è da chiedersi con quale personale se, quando finalmente si faranno le prime indagini e stime, è del tutto verosimile che i dati diranno che non c’è stato alcun contenimento dell’infezione e adesso c’è da aspettarsi il peggio.

Ecco l’anomalia dei numeri lombardi. Da Codogno in avanti le autorità lombarde non hanno mentito scatenando l’allarme e imponendo misure di contenimento sempre più severe, fino al coprifuoco di questi giorni. Altrove, specialmente al sud, c’è stato molto cuore in mano da parte delle autorità. Ma poca razionalità e nessuna tempestività. Con il risultato, ci dice un’altra fonte medica all’ospedale di Olbia, che medici e infermieri si sentono un esercito con poche munizioni (non superano i 50 posti le terapie intensive dell’isola) e superiori che non hanno ancora dato prova di aver capito la drammaticità della situazione. E per di più qualche sapientone, dalle colonne del quotidiano più diffuso della regione (sempre La Nuova Sardegna), anche in queste circostanze riesce a dare prova di somma ignoranza e becerume. Un giorno dando degli untori «ai fuggiaschi del nord… senza rispetto per la gente che intanto moriva» (ma come si capisce anche solo per il caso Nuoro, non certo per colpa del Nord). Un altro titolando un commento da manicomio sui medici in prima linea negli ospedali sardi: «Messaggino ai vecchi: “crepate”».

Così il nostro medico in prima linea a Olbia commenta: «Quel titolo ci ammazza… questi sono i ringraziamenti a chi sta in trincea». Ecco tutto. Ed ecco spiegata l’apparente anomalia dei numeri in Lombardia. Semplice, altrove non li danno, sono ancora alla fase del contenimento a parole. Pensando di scaricare sull’untore nordista un disastroso – disastroso purtroppo per il popolo del sud – ritardo di competenza, di verità e di responsabilità. 

Foto Ansa

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