Il cancro al cinema, una ricerca svela il pessimismo del grande schermo

Due studiosi italiani hanno esaminato 82 pellicole in cui i protagonisti sono malati di tumore. E hanno scoperto che ci sono molte differenze tra la realtà della malattia e la sua rappresentazione sul grande schermo.

82 film per dimostrare che il cinema non è la vita. Almeno quando si parla di malattia. Sembra strano dirlo ma è quello che hanno dimostrato due ricercatori italiani, Giovanni Rosti, dell’ospedale Ca’ Foncello di Treviso e Luciano De Fiore, dell’Università La Sapienza di Roma nello studio dal titolo Oncomovies: Cancer in cinema. I due studiosi hanno presentato il risultato della loro ricerca al congresso della Società europea di oncologia medica di Vienna, dimostrando che la rappresentazione del cancro sul grande schermo poco a che fare con la realtà della malattia.

DAL 1939 A OGGI. Rosti e De Fiore hanno esaminato 82 pellicole girate tra il 1939 e il 2012 (tra cui La gatta sul tetto che scotta, Erin Brockovich, Scelta d’amore, Gran Torino, Le invasioni barbariche) e ne hanno tratto interessanti conclusioni. In primo luogo, la differenza di età tra i malati nei film e nella vita reale. Sul grande schermo chi ha il cancro è mediamente una persona giovane, sui 40 anni, di elevata classe sociale, con un tumore molto raro e che nella maggior parte dei casi vanno sempre incontro alla morte. Il cinema poi non prende mai in considerazione il tumore alla mammella, che negli anni è diventata una malattia da cui sempre più donne guariscono.

QUANDO LA REALTA’ È MEGLIO DELLA FANTASIA. Lo scopo della ricerca è stato dimostrare quanto è sconosciuta alla settima arte questa malattia. Bisognerebbe, invece, avere una visione più realistica e meno melodrammatica del male, evidenziando per esempio i progressi fatti dall’oncologia, le cure sempre meno tossiche e invalidanti, le guarigioni molto frequenti e sopratutto il dolore dei pazienti, argomento troppo spesso ignorato, anche nella vita reale. Ma la ricerca non boccia del tutto il cinema, anzi come afferma De Fiore «Usare il grande schermo può servire ad aumentare l’attenzione sul problema e sulle nuove terapie disponibili. Inoltre può aiutare gli oncologi a prendere in considerazione alcuni aspetti della patologia che a volte trascurano nel corso del percorso terapeutico, ad esempio le conseguenze che la malattia può avere sulla sessualità, il rapporto medico-paziente, gli effetti collaterali delle terapie. O anche semplicemente a fare riflettere sul significato della vita e della morte».

@paoladant

Exit mobile version