Per il bene dei bambini facciamo pace

Il vescovo italiano che ha partecipato ai negoziati spiega perché la Sierra Leone ha deciso di perdonare i suoi carnefici

La cerimonia della firma dell’accordo di pace per la Sierra Leone a Lomé ha avuto un acme patetico e surreale. Il presidente Kabbah è salito alla tribuna tenendo per una mano -l’unica- un bimbo di tre anni. L’altra non c’era più perché, insieme al braccino, era stata strappata via da un colpo di machete inferto dai ribelli durante uno dei loro assalti. Quegli stessi ribelli che ora Kabbah si accingeva ad amnistiare e ad accogliere all’interno del suo governo. “Firmo come presidente -ha sillabato-, ma prima ancora per le migliaia di bambini della Sierra Leone”. Fino a qualche mese fa il presidente non la pensava così. Lo hanno convinto una serie di personalità e istanze favorevoli al compromesso, e in particolare gli esponenti del Consiglio interreligioso. Al suo interno svolge un ruolo importante mons. Giorgio Biguzzi da Cesena, il vescovo missionario che ha partecipato ai negoziati.

Monsignore, lei ha partecipato ai colloqui di Lomé in due momenti distinti. Che cosa avete fatto in quei giorni?

Il nostro ruolo è stato di essere i facilitatori e i garanti morali del dialogo. Il negoziato vero e proprio è stato condotto dai togolesi, noi stavamo un po’ con gli uni e un po’ con gli altri per convincerli a smussare gli angoli e a non mandare tutto a monte. Quando c’era qualche grosso scoglio, prendevamo da parte la persona decisiva per sbloccare la cosa, e parlavamo con lei finché non la convincevamo. A un certo punto li abbiamo invitati a un modesto ricevimento, a base di panini e birre, per averli tutti come ospiti nostri e poterli fare incontrare.

I ribelli hanno commesso crimini atroci. Ora saranno amnistiati e premiati con poltrone ministeriali. Come potete accettare questo?

Anch’io ho visto arrivare uomini e bambini coi moncherini sanguinanti, a Makeni e a Freetown, anch’io ho visto il corpo martoriato di Alois Maria, una delle quattro suore di Madre Teresa uccise dai ribelli. Ma per il bene della nazione, cioè per la pace e la sicurezza di 4 milioni di sierraleonesi che hanno già tanto sofferto, accettiamo che chi ha commesso questo entri a far parte del governo. Però esigiamo che il Ruf chieda perdono alla nazione per le sofferenze che le ha inflitto. E chiediamo che, ferma restando l’amnistia per tutti, venga creata anche in Sierra Leone una Commissione per la verità e la riconciliazione sul modello di quella sudafricana.

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