I ragazzi della via Jenner

Un ex frequentatore del centro culturale islamico di viale Jenner racconta alcuni retroscena della moschea più discussa di Milano: volantini contro la progettata visita del Papa in Egitto, videocassette con le interviste a Bin Laden e registrazioni di conferenze che presentano il terrorismo come un dovere religioso. E una “scissione” ancora misteriosa di Rodolfo Casadei

Lo incontriamo a casa di amici italiani che lo hanno aiutato a trovare un nuovo impiego fisso in una fabbrica del nord-est. Prima di allora, Ibrahim faceva a Milano solo lavori saltuari, ora nell’edilizia, ora nella distribuzione di volantini pubblicitari, ora come imbianchino. «Vivo in Italia da ormai cinque anni», dice. «Sono entrato clandestinamente pagando tremila dollari, una bella fortuna per noi egiziani. Era mia premura, non appena sistemato per l’alloggio, trovare un luogo dove poter fare la mia preghiera del venerdì…».

E così sei andato al Centro culturale islamico di viale Jenner…

Esatto, ma per motivi di comodità. Mi bastava fare qualche fermata di autobus dal mio posto di lavoro. Le altre moschee milanesi erano molto più distanti per me.

E che ambiente hai trovato lì?

All’inizio non ci ho fatto caso, poi, a poco a poco, ho cominciato a sospettare che in quel centro non tutti andavano come me solo per pregare.

A partire da quando hai cominciato a nutrire tali sospetti?

All’incirca dall’inizio dell’anno scorso. Ricordo che era il periodo in cui il Papa si apprestava a compiere un viaggio in Egitto, perché qualcuno in moschea mi ha rifilato un volantino su quel tema.

E cosa diceva quel volantino?

Si scagliava contro la visita in modo violento. Ovviamente, era scritto in arabo. Diceva che la presenza del Papa non era gradita, che quella visita profanava la terra musulmana d’Egitto, e invitava i musulmani a reagire.

Scusa, ma perché tu non condividevi i loro propositi?

Sono cresciuto insieme ai cristiani copti egiziani, poi ho avuto la fortuna di frequentare una scuola gestita da religiosi cristiani. Ho sempre avuto nel mio Paese amici e colleghi di lavoro cristiani, e perciò non nutro odio nei confronti dei fedeli delle altre religioni.

Cosa sai del materiale audiovisivo che si vendeva al Centro?

Se intendi quella cassetta trasmessa in televisione (si tratta dell’inquietante conferenza videoregistrata di uno sceicco presso il centro di Viale Jenner, trasmessa recentemente da Canale 5 – ndr), l’ho vista interamente. Forse è vero che risale al 1994, ma è certo che era in vendita almeno fino alla primavera di quest’anno. Il titolo della cassetta era “Il terrorismo è dovere religioso e l’assassinio è Tradizione”. I miei compagni di casa l’avevano acquistata a diecimila lire insieme ad altre cassette dello stesso genere.

Altro materiale che incita alla violenza?

Diciamo che invita al jihad. Una videocassetta riprendeva la prima intervista fatta dalla tivù al-Jazeera a Bin Laden e duplicata probabilmente con mezzi propri. Un’altra ripercorreva le storie dei marocchini andati a combattere in Afghanistan contro i sovietici. Uno di questi chiede nella sua lettera alla famiglia di non rimpiangere la sua laurea, lui che era andato in America per studiare, perché le regalava una laurea più importante, il martirio. Rivedo il cronista che legge il suo testamento sull’abbandono della “terra della miscredenza e degli infedeli”, mentre sullo schermo scorrevano le immagini delle Twin Towers. A pensarci, sembra profetico.

Circolavano anche libri del genere?

Era esposto il testamento politico-religioso di Marwan Hadid, uno dei capi islamici in Siria, ucciso molti anni fa, in cui si parla della necessità di prepararsi alla guerra contro i regimi arabi e gli infedeli. Un altro libro riguardava Bin Laden, scritto da un giornalista arabo che l’aveva incontrato.

Secondo te, è fondata l’accusa avanzata dagli americani che quel Centro possa essere una base terroristica legata a Bin Laden?

Non intendo criminalizzare le migliaia di persone che lo frequentano, ma è molto probabile che ci siano legami, perlomeno finanziari. I responsabili facevano spesso raccolte di fondi per aiutarli, dicevano, a pagare le bollette della luce, ma io sono sicuro che le somme raccolte superavano di gran lunga l’importo delle bollette. C’erano poi molti estremisti egiziani della Jamaa islamiya e algerini simpatizzanti del Gia, il Gruppo islamico armato. Ma molti di loro hanno poi deciso di aprire un altro centro in via Quaranta.

Si è trattato allora di una scissione? E per quale motivo?

In verità non l’ho mai capito. Io ci andavo solo al venerdì, ma sono sicuro che all’origine ci siano state divergenze politiche. Sai, per noi musulmani, religione e politica sono la stessa cosa.

Ma sei almeno al corrente dei “dibattiti” che animano la comunità?

Molti criticavano i programmi televisivi di Yussuf al-Qaradawi, uno sceicco egiziano che intrattiene ogni domenica sera i telespettatori di al-Jazeera. Dicevano che quello sceicco, d’altronde membro della confraternita dei Fratelli musulmani, poco tollerata in Egitto, si era venduto ai governanti e che incita i fedeli ad abbandonare i precetti di Dio.

Il Centro è anche frequentato da italiani?

Personalmente ne ho visti pochi. Ma so che i musulmani italiani e quelli che desideravano conoscere la nostra religione partecipavano a un incontro specifico alla domenica. Ma la cosa che più mi ha scioccato riguarda alcuni arabi che hanno acquisito la cittadinanza italiana. In un ristorante di viale Padova li ho visti esibire la loro nuova carta di identità e sputarci sopra ridendo.

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