I giornalisti che si nascondono dietro ai “fatti”

Ancora sul video della tragedia della funivia del Mottarone. Quasi tutti lo mostrano e poi ci fanno la predica sul diritto di pubblicarlo

Sopralluogo degli ispettori della commissione d’inchiesta, voluta dal ministero delle Infrastrutture, sul luogo dell’incidente della funivia del Mottarone a Stresa, Verbania, 01 giugno 2021

Si è molto discusso in ambito giornalistico se mostrare o meno il video della tragedia della funivia del Mottarone, tragico incidente in cui hanno perso la vita 14 persone. Molti siti – la maggior parte – hanno deciso di mostrare le immagini degli ultimi istanti di vita delle vittime, le loro urla, i loro volti sgomenti mentre la cabina precipita.

Polemiche sono nate dopo che il filmato è stato mandato in onda in un servizio del Tg3 e – soprattutto – c’è stata la chiara presa di posizione del procuratore di Verbania e titolare dell’inchiesta, Olimpia Bossi, che ha diramato un comunicato:

«Mi preme sottolineare l’assoluta inopportunità della pubblicazione delle immagini che ritraggono gli ultimi drammatici istanti di vita dei passeggeri della funivia, per il doveroso rispetto che tutti siamo tenuti a portare alle vittime, al dolore delle loro famiglie, al cordoglio di un’intera comunità».

Un po’ di pietas

Siamo ancora alla fase delle indagini preliminari, ha ricordato Bossi, e il video non era stato nemmeno mostrato ai parenti.

«Portare a conoscenza degli indagati e dei loro difensori gli atti del procedimento a loro carico nelle fasi processuali in cui ciò è previsto, non significa per ciò stesso autorizzare ed avallare l’indiscriminata divulgazione del loro contenuto agli organi di informazione».

Il Procuratore non ha solo ricordato a tutti cosa prevede la legge, ma ha pure avuto parole di buon senso in cui si può intravedere un sentimento di pietas («doveroso rispetto»), che nessuna norma prevede e che pure dovrebbe guidare le azioni di ciascuno.

Cosa è un fatto

E invece? E invece il video è finito online. S’è aperto il dibattito ed è un dibattito che riguarda il Mottarone, ma anche mille altre casi italiani in cui gli organi d’informazione se ne fregano bellamente di leggi, di pietas, di buon senso: pubblicano e basta.

Per come la vediamo noi, non è solo una questione di acchiappare qualche click (su Tempi ne ha parlato bene Martino Lioacono), ma di che cosa si intende per informazione.

Ad esempio, il Post, testata online sempre molto attenta a questioni deontologiche, ha scritto di aver deciso di pubblicare il filmato perché esso rappresenta un «fatto». Sulla Stampa, Ferdinando Camon ha detto che lui s’aspetta che un quotidiano mostri quelle immagini perché vuole essere certo che un giornale dia tutte le notizie e non solo alcune.

Le balle dei cronisti

Ma la questione è un po’ più complessa di così e, di solito, quando il discorso è impostato in questa maniera, ci si ingarbuglia e si va a giustificare l’ingiustificabile. Se il compito dei media è quello di mostrare asetticamente i “fatti” (magari con qualche ipocrita disclaimer per non urtare i più sensibili), non si capisce perché esistano delle leggi che limitano il lavoro dei giornalisti. Esistono sui minori, o sulle vittime di violenza, per fare due esempi. Perché non pubblichiamo video di stupri? Anche quelli sono “fatti”.

La grande retorica sui “fatti” e sulla “carta canta” è la scusa con cui i giornalisti si lavano la coscienza e rendono visibili video che non andrebbero resi visibili o pubblicano documenti e intercettazioni che non andrebbero resi noti. “È successo così, io ve lo racconto, se non lo facessi non farei bene il mio lavoro”, spiegano i cronisti. Balle.

Dicono quelli del Post che il filmato delle funivia aggiunge particolari importanti per la comprensione dell’evento. Ci vuole un bel coraggio a scrivere una cosa del genere, dopo che per giorni abbiamo avuto del caso una “cronaca minuto per minuto”.

Pruderie o pettegolezzo

Stiamo sostenendo che i giornalisti dovrebbero “censurarsi”? Stiamo dicendo il contrario. Stiamo, cioè, affermando che i professionisti della comunicazione, cui tanto piace farci le prediche sulla legalità, dovrebbero essere loro i primi a rispettare le leggi e, secondo, essere fino in fondo quel che la loro professione prevede. Il giornalista è un “filtro” tra l’evento e chi lo ascolta. E ad un filtro si chiede appunto di capire, vagliare, riportare ciò che è meritevole di essere conosciuto per comprendere. Il resto è pruderie, voyeurismo macabro, inutile pettegolezzo.

Se il giornalista finge di non esserci, se finge di essere “neutrale”, se vi dice “io riporto i documenti, poi giudicate voi”, 99 volte su 100 vi sta ingannando, ha altri scopi non dichiarati per mostrarvi quel che vi sta mostrando. Le notizie che leggiamo in pagina non sono mai i fatti “nudi e crudi”, ma il modo con cui qualcuno ha deciso di presentarceli. Sul “come” ce li presenta misuriamo la sua onestà.

Un giornalismo che arriva a teorizzare di non aver alcuna responsabilità su come riportare le notizie è un inganno. Quelli che se ne intendono direbbero che è una fake news.

Foto Ansa

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