I fantasmi di Poe e le maschere misteriose nelle visioni inquietanti di Alberto Martini

Fino al 31 luglio, alla Galleria W. Apolloni in via del Babuino a Roma, è possibile ammirare alcune opere dell’artista odertino "Alberto Martini dei Misteri"

Passeggiando per via del Babuino, a Roma, non potrete fare a meno di notare il ritratto di un uomo pallido esposto nella vetrina della Galleria W. Apolloni. Sarete inesorabilmente attratti da due occhi profondi e malinconici, assorti in indicibili visioni. Pertanto, come rapiti, varcherete la soglia della Galleria per immergervi nelle fantasie bizzarre, nelle magie oscure e nelle inquietudini dell’uomo del ritratto, che altri non è che Alberto Martini.

Gabriele d’Annunzio, che ne condivideva la visione estetica, usava chiamarlo “Alberto Martini de’ Misteri”, visto che aveva accolto con entusiasmo il poema grafico realizzato dall’illustratore tra il 1914 e il 1915, intitolato I Misteri. E proprio la definizione del Vate sembra aver dato lo spunto al nome dell’esposizione, “Alberto Martini dei Misteri”, che è possibile visitare fino al 31 luglio.

Nato a Oderzo nel 1876, Martini ebbe come primo grande maestro suo padre Giorgio, a sua volta pittore e insegnante di disegno all’istituto Riccati di Treviso. Le tavole ispirate al poema Morgante di Luigi Pulci, nel 1895, segnarono l’esordio dell’artista odertino come illustratore di opere letterarie. Il 1905 fu, invece, l’anno della svolta: i suoi disegni dedicati a La Secchia rapita di Alessandro Tassoni attirarono l’attenzione dell’influente critico Vittorio Pica, all’epoca anche segretario della Biennale di Venezia. Colpito dal talento di Martini, costui gli permise di esporre alla Biennale e in altre prestigiose esposizioni. Da allora, l’attività di illustratore divenne sempre più fitta, tanto che l’artista trentino si cimentò con la Divina Commedia di Dante, ispirandosi allo stile liberty di Gustave Doré. Di lì a poco avrebbe fatto l’incontro più fatale della propria vita: quello con i Racconti di Edgar Allan Poe, le illustrazioni dei quali hanno accompagnato l’artista dal 1905 al 1936.

All’esposizione in via del Babuino si possono ammirare sei chine delle 105 tavole dedicate alla narrativa dello scrittore americano. Si va dalla raffinata rosa liberty de Il Mistero di Marie Roget e dai tenebrosi scenari de Il cuore rivelatore e di Morella, ai soggetti più macabri di Metzengerstein e Hop Frog, fino all’inquietante doppio ritratto di William Wilson.

Tra le opere dei primi del Novecento sono esposte anche Medusa assassinata sul palcoscenico, tavola che anticipa la grande passione per il teatro da parte dell’artista, e due tra le chine dalle atmosfere più surreali, come Amore con forbici e rosa e Uomo con forbici gigantesche.

Fino alla fine degli anni Trenta le opere di Martini sortirono un grande successo, soprattutto negli ambienti intellettuali e mondani. Nel 1906 l’artista entrò nelle grazie della marchesa Luisa Casati, una ricca mecenate che lo introdusse a Filippo Tommasi Marinetti, il quale gli commissionò la copertina di alcuni numeri della rivista Poesia. Successivamente, venne in contatto con ambienti internazionali, esponendo alla Leicester Gallery di Londra e divenendo l’illustratore della raccolta di novelle Asse Terrestre dello scrittore russo Valerij Brjusov.

Con lo scoppio della Prima Guerra mondiale egli espresse il suo sentimento irredentista attraverso le 54 litografie intitolate Danza macabra europea, le cui suggestive caricature antigermaniche furono diffuse nell’esercito italiano a scopo di propaganda. Allo stesso periodo, però, appartengono anche I Misteri, una serie di litografie simboliche dalle tinte cupe. Alla galleria Apolloni sono in mostra quelle dedicate alla follia, al sogno e alla morte, insieme a due delle opere più suggestive di quegli anni. Si tratta di Bacio, rappresentante due amanti che baciandosi si fondono in una bianca luce, e Lacrime d’amore, espressione altissima di quel peculiare piacevole dolore causato dalle pene d’amore.

Negli anni del primo dopoguerra il successo di Martini in Italia cominciò a declinare. Con la nascita del movimento Novecento, il genio odertino si sentì isolato, anche a causa del rapporto burrascoso con una degli esponenti di spicco di questa corrente, Margherita Grassini Sarfatti. Il suo auto-esilio intellettuale a Parigi gli permise di entrare in contatto con i surrealisti e con i simbolisti francesi, ragione per la quale spesso lo si associa ad una di queste due correnti.

Attualmente, comunque, è arduo individuare una corrente artistica entro la quale limitare l’arte di Alberto Martini. Le sue opere sono state definite talvolta surrealiste, poi simboliste, oppure espressioniste quando anche liberty. Egli, però, ha sempre rifuggito qualsiasi schema, tanto che amava chiamare i suoi lavori “pitture psichiche”. In effetti, ciò che rende uniche le sue chine è proprio la capacità di provocare un sottile turbamento negli animi di chi le osserva. Come l’inquietudine che si prova osservando una delle opere più misteriose dell’artista odertino, il Poema delle Ombre, le cui 28 tavole sono esposte proprio in galleria Apolloni. I soggetti del poema sono le maschere, dipinte con la china acquerellata che dà loro l’aspetto di ombre o di fantasmi, i cui occhi sembrano fissare chi le sta ammirando. Come precisato dai curatori della mostra, quest’opera resta avvolta nel mistero, innanzitutto perché non vi sono appunti che spieghino la funzione delle tavole. Inoltre, ad esse è corredato un sommario che classifica le maschere in paragrafi dai titoli suggestivi, quali “Sotto la maschera”, “Fantasmi d’amore” e “Nubi notturne”.

Nonostante Martini sia stato uno dei più grandi artisti dei primi del Novecento, purtroppo ad oggi non gode di grande popolarità. Tuttavia, negli ultimi tempi si sta assistendo a una rivalutazione della sua arte, non solo grazie alle esposizioni delle sue opere, ma anche attraverso la pubblicazione di saggi come Illustrazioni incredibili. Alberto Martini e i racconti di Edgar Allan Poe, di Alessandro Botta, pubblicato a inizio anno da Fondazione Passaré-Quodlibet. Sarebbe interessante vedere ripubblicata anche la sua autobiografia Vita d’artista, una raccolta di appunti nella quale egli scriveva: «Sì […] sono un sognatore che crede nell’immortalità, o forse un fantasma del sogno eterno che chiamiamo vita».

@SabrinaSisifo

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