Ho avuto una visione: l’Inter eravamo tutti noi

La squadra nerazzurra è come l’Italia, un posto dove il senso dell’appartenenza è un sentimento vago, scomposto, secondario

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Compagni e amici, ho avuto una visione. Vi vorrei parlare dell’Inter. Sì, lo so, a questo punto i miei amici di Tempi si mettono le mani laggiù, perché temono la fuga dei lettori. Ma oggi non sarà così, non dico che sono «in missione per conto di Dio» come sosteneva Jake “Joliet” Blues ma penso di aver avuto la giusta intuizione. Scrivo per costruire, non per distruggere.

Allora. L’Inter è come l’Italia, un posto dove c’è troppa gente che ha o vuole avere voce in capitolo. L’Inter è come l’Italia, un posto dove il senso dell’appartenenza è un sentimento vago, scomposto, secondario rispetto ad altre pulsioni. L’Inter è come l’Italia, un posto dove le divisioni tra i diversi schieramenti sono troppo forti per arrivare a una condivisione solo con la buona volontà. L’Inter è come l’Italia, un posto dove il concetto di buona volontà è stato accantonato e tolto perfino dal lessico comune. L’Inter è come l’Italia, un posto dove c’è tanta, troppa gente sopravvalutata, che si crede chissà che e invece è poco più che mediocre. L’Inter è come l’Italia, un posto dove, se le cose vanno male, prima si urla al complotto, poi quando si capisce che invece è tutto demerito proprio è già troppo tardi. L’Inter è come l’Italia, un posto dove un allenatore/premier dura lo spazio di un alito di vento, senza stabilità, senza continuità. L’Inter è come l’Italia, un posto dove tutti si credono “de sinistra”, alternativi, poi si va a votare/in campo e si capisce che il gioco/elezioni sono di tutt’altro parere. L’Inter è come l’Italia, un posto dove ci deve essere un uomo solo al comando. Eletto/ingaggiato democraticamente, ci mancherebbe. Ma uno solo. Altrimenti non si combina nulla.

Foto Ansa

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