Gli acchiappabambini e la legge delle tre “s”

Lettere

Mi rivolgo a voi soltanto oggi perché non avevo il vostro indirizzo e poi per il fatto che quello che è successo a me e a mia moglie è talmente grave che non può più essere taciuto. Il giorno 3 giugno 1999 nostra figlia Veronica di anni 7 è stata portata via dalla scuola “G. Carducci” di Torino dove frequentava la 1° elementare, su ordine del Tribunale dei Minori, da ben due pattuglie della Polizia urbana e subito rinchiusa in una comunità. Vogliate tenere presente che la causa di questo è dovuta al fatto che da tempo siamo calunniati e diffamati da persone che vogliono solo il nostro male e che il Tribunale dei Minori ha preso per oro colato queste accuse che non corrispondono per niente alla verità in quanto siamo, io e mia moglie, delle persone normali e nostra figlia è cresciuta benissimo in seno alla nostra famiglia e ha frequentato con ottimo profitto la 1° elementare e alla scuola “G. carducci” è amata sia dalle maestre che dai suoi compagni. Quello che voglio sottolineare è il modo brutale e arrogante di questo stato che usa questi mezzi con una bimbetta di 7 anni e noi non sappiamo quale shock abbia avuto nostra figlia quel giorno perché non si può sapere la verità né dalle assistenti sociali né dagli altri collaboratori perché la cosa deve essere tenuta nascosta e non fare trapelare questo grave fatto perché anche se avessimo scritto ai vari giornali difficilmente sarebbe stata pubblicata la notizia perché sono tutti dei “venduti”. Mi sono permesso di segnalare questo fatto alla vostra attenzione traendo lo spunto dalla notizia pubblicata da voi sul numero 10 del 18/24 marzo 1999 riguardo al fatto successo a Carpi (tratto da “Lo Spillo” perché come detto prima non avevo nessun indirizzo per scrivervi). Abbiamo fatto ricorso, tramite avvocato naturalmente, alla Corte d’appello e stiamo aspettando. Voglio far presente che quando alcuni anni fa venne arrestato il boss Felice Maniero che si era nascosto in una abitazione di fronte a quella dove abitiamo noi, c‘erano meno poliziotti di quanti hanno prelevato nostra figlia. Ma, intanto, nostra figlia è stata sottoposta a pressioni psicologiche e ricatti morali, non può dire veramente quello che vuole, ma nonostante tutto questo continua a ripetere, quando la vediamo settimanalmente, che vuole ritornare a casa, che non ce la fa più… Prima era una bimba allegra, spensierata, a casa sua faceva quello che le piaceva di più, adesso è trasformata, quasi irriconoscibile e di questo qualcuno dovrà pagare. Avrei tantissimo ancora da dire, ma per lettera non è possibile. Vorrei che fosse dato ampio spazio a questo grave fatto perché sono del parere che non sia mai successo niente di simile in altri casi ben più gravi, però visto che siamo in un periodo così delicato in attesa delle sentenze della Corte d’appello, non so se sia meglio attendere perché non vorrei che ci rimettesse nostra figlia: comunque quello che volevo dire era di far sapere a qualcuno quello che succede in questo maledetto stato e tutto l’odio che ho dentro di me dovrà esplodere un giorno o l’altro. Ringraziandovi e scusandomi per essermi dilungato, porgo distinti saluti, G. V., Torino.

Firmiamo la sua bella e drammatica lettera con le sole iniziali per cercare di evitare a lei e alla sua famiglia ulteriori problemi. Le assicuriamo però che ci occuperemo del caso quanto prima.


Caro Direttore, per lavoro leggo, o meglio sfoglio, tanti giornali che mi piombano sulla scrivania, più o meno gratuitamente. La maggior parte in genere finisce nel cestino nel giro di qualche minuto. In questi giorni visto che ho un po’ più di tempo del solito, ne ho sfogliati alcuni con più attenzione. Uno di questi è Capital, mensile della Rizzoli. Ebbene, so come va il mondo e l’editoria pure, so che per spingere le vendite occorre sbattere un po’ di seni in copertina e magari un paio di belle chiappe all’interno, ma adesso il sesso non basta più, c’è qualcosa di più sottile. Il numero di agosto di questo mensile per l’uomo di affari ricco, raffinato e alla moda, sembra il bollettino degli arrapati che si beano di sognare ad occhi aperti. Le segnalo, fra splendide ragazze mezze nude, tette verie, bei machi e la rubrica di Aldo Busi, un servizio sui pornovideo (“quando la moglie è in vacanza ci si può concedere una piccola trasgressione”… e via di seguito con un bell’elenco di cassette a luci rosse) e un altro sull’arte di accarezzare (“il tocco sapiente fa la differenza fra l’amatore mediocre e e un amante raffinato e indimenticabile. Ecco la mappa del tesoro”, ovvero vi diciamo noi dove accarezzare…). Ma in fondo il top non è questo. C’è qualcosa di più subdolo del sesso patinato. Ed è il servizio centrale, una sezrie di interviste su come “vivere di rendita”, ovvero l’esaltazione dell’ideale del non far nulla, “spegnere il computer e viaggiare con tanto, tantissimo tempo libero” (e naturalmente una montagna di soldi). Un inganno più sottile del sesso a portata di occhi. Quello ti obnubila il cervello per qualche secondo, questo ti insidia il cuore. Perché, anche se magari ogni tanto tutti ci pensano, non è vero che l’ideale dell’uomo sia non far niente, alzarsi la mattina a guardare l’indice di borsa, bere un aperitivo e il pomeriggio andare in elicottero su una spiaggia dorata a non pensare a nulla. Non è vero che per realizzarsi si debba oziare (tanto che tutti gli uomini normali, dopo qualche giorno a non saper che fare cominciano a innervosirsi). L’ideale dell’uomo passa anche attraverso il lavoro, la fatica, il tentativo di costruire qualcosa con l’impegno quotidiano, il sacrificio, le incazzature, le gioie, le delusioni. Perché un conto è vivere, un altro affittare l’anima ai sogni. Che ne pensa?

Tanti saluti.

Alberto Federici, Barasso (Va) Quella della regola aurea (o plumbea) dei giornali popolari britannici delle tre famose s (sesso, soldi e sangue) è un luogo comune tipografico cui, ormai, quasi nessun giornale si sottrae. Per esempio, si è mai chiesto come mai in estate sui quotidiani fioriscano, oltre alle consuete sfilate in costume balneare, anche i più incredibili casi di cronaca nera? Non si tratta semplicemente del caldo che dà alla testa a tutti i potenziali killer nazionali, ma piuttosto di una quarta “s”: lo “svaccamento” estivo che induce nei lettori morbose curiosità e nei giornalisti la fregola di riempire pagine altrimenti desolatamente vuote (non dicevano già gli antichi che l’ozio è il padre del vizio?). Succede anche all’Espresso.

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