Giovanardi: qualche domanda dopo la perizia su Stefano Cucchi

Sul Fatto Flavia Perina accusa il senatore del Pdl di essere un "teocon dei valori", incapace di pietas verso il ragazzo morto a Roma nel 2009. Ma la verità accertata dai periti pone alcune riflessioni.

Caro direttore,

Flavia Perina, deputata finiana, mi attacca sul il Fatto Quotidiano, in un livoroso articolo, accusandomi di appartenere «alla più crudele tribù berlusconiana, i teocon dei “valori” , quelli pronti a contestualizzare la bestemmia ma incapaci di pietas verso gli Stefano e le Eluana, i drammi personali delle coppie che ricorrono alla legge sulla fecondazione assistita o delle donne che utilizzano la legge 194».

Materia specifica del contendere il caso di Stefano Cucchi e le posizioni da me assunte a suo tempo, quando ero Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega a alle politiche antidroga, ribadite ieri dopo che i sei super periti indicati dalla Corte di Assise hanno confermato all’unanimità quanto già stabilito dalla perizia ordinata dai Pubblici ministeri, cioè che Stefano Cucchi è stato lasciato morire di fame e di sete per imperizia e negligenza dei medici che avrebbero dovuto curarlo.

Non sono un Teocon, ma semplicemente una persona a cui hanno insegnato i 10 comandamenti fra i quali esiste anche l’ottavo, “non dire falsa testimonianza”.

Sono tre anni viceversa che sul caso Cucchi ambienti nutriti di pregiudiziali ideologiche e con grande capacità di mistificazione hanno scritto e detto ovunque: «Stefano Cucchi è stato ammazzato di botte», o dai carabinieri che lo avevano arrestato o dagli agenti che lo custodivano.

Con pazienza tre anni fa spiegai che Stefano Cucchi era una vittima della droga, che aveva segnato la sua vita come consumatore prima e spacciatore poi, colpendolo con gravi patologie che aveva cercato di curare entrando e uscendo dalle comunità di accoglienza per sottrarsi ad una vita difficile (dalla ricostruzione dei PM è emerso che per ben 17 volte negli anni precedenti all’ultimo ricovero Stefano Cucchi era stato ricoverato in pronto soccorso per lesioni e fratture derivanti da incidenti, cadute o lesioni originate dallo spietato mondo in cui viveva).

Dissi allora che la cosa veramente grave che emergeva da quell’episodio era che una persona fragile, indifesa, segnata da gravi patologie avrebbe dovuto essere aiutata e protetta dai medici che l’avevano in cura, che non potevano e non dovevano prendere per buona la sua volontà di fare lo sciopero della fame e della sete, senza rendersi conto delle conseguenze a cui andava incontro.

Come ricorderete queste osservazioni, derivanti dall’esperienza del contatto con personaggi straordinari come Vincenzo Muccioli e Don Oreste Benzi, oltre ad altre decine di responsabili di comunità di recupero e dalla conoscenza diretta dei drammi delle decine di migliaia di giovani che tentano disperatamente di uscire dal tunnel della droga, mi costarono addirittura la richiesta di dimissioni da parte di Matteo Renzi, sindaco di Firenze, proprio perché avevo indicato in Cucchi una vittima e non un martire della repressione poliziesca dello Stato.

Bisogna ricordare infatti che da quasi tre anni tre agenti di custodia sono accusati, non dai magistrati, ma dalla famiglia Cucchi e dalla potente macchina della rete web, di essere degli assassini che hanno provocato direttamente con il loro pestaggio la morte di un giovane.

Ora, sei periti di chiara fama all’unanimità confermano la perizia dell’accusa scrivendo nero su bianco che non esiste nessuna relazione tra i segni rinvenuti sul corpo del povero Stefano e le cause del decesso, imputabile appunto al mancato soccorso da parte dei medici: scrivono anche che le fratture più gravi risalgono ad anni prima dell’ultimo ricovero e le lesioni più superficiali, sono compatibili anche con una caduta.

A questo punto mi permetto di porre io una qualche domanda.

Non è la sinistra a sostenere che se una persona non si vuole curare, nessuno può intervenire nella sua decisione di lasciarsi morire, magari non obbligandola neppure a nutrirsi?

Se, come tanti hanno detto e scritto al momento dell’arresto, Cucchi era in buona salute e non era affetto da patologie tipiche di chi ha avuto la vita segnata dalla droga, hanno avuto ragione i medici a non curarlo facendosi carico della sua presunta libera volontà?

Oppure ho ragione io a sostenere che Stefano Cucchi non era in grado di gestirsi e i medici avrebbero dovuto assolutamente aiutarlo con le terapie adeguate?

Che cosa c’è di anticristiano in queste mie convinzioni?

E non devo preoccuparmi dei tre agenti di custodia e delle loro famiglie, che da tre anni vivono all’interno di un incubo, bollati quasi ovunque come assassini a prescindere?

Confermo ancora una volta da cattolico che considero Stefano Cucchi una vittima ma non un eroe da indicare come esempio di vita ai giovani (o a cui intitolare scuole come aveva proposto la provincia di Roma) e di attendere con serenità le decisioni della magistratura senza per questo essere dipinto dalla compagna e/o camerata Perina come uno con «lo scolapasta in testa, un matto innocuo anche se fin troppo vociante».

Sen. Carlo Giovanardi 

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