Gardini (Confcooperative): Perché non togliamo l’Irap per ogni giovane neoassunto?

Intervista al presidente dell'associazione che fotografa la modernità sociale delle sue associate e muove qualche giusta richiesta alla politica

Ventimila aziende con oltre 3 milioni di soci in grado di generare un fatturato da 67 miliardi di euro. Sono i volumi del sistema cooperativistico italiano, un modello di fare impresa tra i più caratteristici del nostro paese e capace di generare ancora oggi migliaia di nuovi posti di lavoro, con una particolare attenzione all’occupazione femminile. A capo di Confcooperative c’è Maurizio Gardini.

Presidente, lei ha affermato che le cooperative non delocalizzano. Com’è possibile competere con paesi evoluti come il nostro ma con condizioni più flessibili e agevoli per le imprese?
Appunto, condizioni più flessibili e agevoli, di questo hanno bisogno le nostre imprese. A partire da una burocrazia meno invasiva e pesante, dispendiosa per i costi e per i tempi, deprimente verso l’imprenditore locale e scoraggiante verso gli investitori stranieri. Un accesso al credito più agile, non è un caso se Alleanza delle Cooperative, Confindustria, Rete Imprese e Abi hanno chiesto un fondo di garanzia supplementare che in tre anni arrivi a costituire un plafond di 4,5 miliardi per favorire l’accesso al credito delle imprese per 100 miliardi. I cooperatori chiedono politiche di sviluppo, riforme fiscali, semplificazione burocratica, pagamenti dei debiti pregressi della Pa, sostegno alla capitalizzazione: leve che necessitano capitali e il 70 per cento delle cooperative valuta mediocre il livello di liquidità rispetto alle loro esigenze. Solo il 5 per cento di quelle che operano con la Pubblica amministrazione segnala un miglioramento dei pagamenti dei debiti della Pa. Sta di fatto che la nota dolente è il credito, la vera benzina delle imprese. Si appesantiscono le condizioni di accesso, sia per i costi, nonostante i tassi bassi, sia per i tempi e le procedure. Non si attenuano, poi, le richieste di rientro da parte delle banche. Se a questo aggiungiamo il ritardo infrastrutturale del Paese, i bassi investimenti in innovazione e formazione, sia pubblici sia privati e i danni che la criminalità fa all’economia il quadro di ciò che non va è abbastanza completo.

Il modello cooperativo è ancora un sistema valido così come lo è stato fino a ora?
Nella crisi abbiamo continuato a difendere l’occupazione. Negli ultimi cinque anni le cooperative hanno messo a segno un più 8 per cento di occupazione, senza delocalizzare e continuando a creare reddito e posti di lavoro. Hanno continuato a fare ciò che prevede l’art. 45 della Costituzione, preferendo un utile in meno a un occupato in più. Nelle nostre cooperative il 22 per cento delle persone sono stranieri, il 60 per cento sono donne. È un segno di grande maturità, perché non rappresentano semplici numeri e statistiche e sono l’aspetto più evidente della modernità sociale ed economica della cooperazione, i valori che animano il fare impresa delle cooperative e dei cooperatori che mettono al centro la persona e ne favoriscono inclusione e integrazione. È così che nel welfare 11 mila cooperative, con 360 mila persone occupate, erogano servizi a 7 milioni di famiglie. Nell’agroalimentare 5.600 cooperative danno reddito a 800 mila soci conferitori e tutelano alcuni dei migliori marchi del made in Italy agroalimentare. Le 430 banche di credito cooperativo, pur nelle difficoltà, provano a dare una risposta alle esigenze di credito del territorio di cui sono espressione. Così registriamo una presenza stabile nei settori della produzione lavoro e dei servizi.

Le imprese cooperative necessitano di cambiamenti nell’ottica della competizione globale?
Abbiamo elencato quanto facciamo di buono, ma sappiamo che non ci si culla sugli allori, né si vive di rendita per sempre. I cooperatori lo sanno bene, nel loro dna c’è il binomio sfida e lavoro. Siamo consapevoli che per affrontare la competizione in modo adeguato occorre portare avanti, con determinazione, le politiche di crescita dimensionale e di aggregazione delle imprese, i processi di capitalizzazione, di innovazione e di ricerca. Le imprese, cooperative e non, devono impegnarsi per trovare la dimensione più congrua alle proprie caratteristiche e a quanto richiesto dal mercato. Export e internazionalizzazione sono chiare misure anticrisi. È doveroso intercettare nuova domanda rispetto a un mercato interno fermo. Pur nella consapevolezza che la crisi economica, l’instabilità politica, il peso della burocrazia e la difficoltà di accesso al credito non rendono agevole questo percorso.

Quali ritenete siano le previsioni economiche per il mondo delle cooperative?
Solo l’8 per cento delle nostre cooperative prevede un miglioramento dell’economia nazionale nei prossimi mesi. Il 60 per cento delinea uno scenario stazionario, il 30 per cento prevede un peggioramento. Sugli ordini solo il 25 per cento dei cooperative prevede un aumento. Va meglio per le cooperative dell’agroalimentare grazie al portafoglio ordini dai mercati esteri, ma nel complesso l’80 per cento delle cooperative non prevede di aumentare gli investimenti nei prossimi mesi.

Un altro elemento a lei molto caro: l’aumento dell’Iva sul welfare. Non ha usato mezze parole per definire il provvedimento. Come pensa inciderà nelle vostre aziende?
Il presidente del consiglio Letta in persona ha mostrato grande sensibilità riguardo a una misura introdotta dal governo precedente che ne aveva sottovalutato gli effetti. Un aumento che avrebbe messo a rischio la coesione sociale, colpendo le categorie più fragili del paese, causando una mancanza di servizi per 500 mila persone tra anziani, disabili, minori e lasciando senza lavoro 43 mila occupati. Il ruolo della cooperazione sociale è stato trainante anche nell’occupazione, che è stata più che raddoppiata negli ultimi 10 anni, così come dimostrano i dati Istat. Uno sforzo che risulta ancora più straordinario se rapportato al periodo di stagnazione economica occupazionale del nostro paese. Sarebbe stato del tutto incomprensibile e ingiustificato un aumento dell’Iva sui servizi resi ad anziani, minori e disabili da parte delle cooperative sociali che da anni, oltre che dare buona occupazione, disegnano reti e servizi di welfare per il paese supplendo a molte carenze.

È in corso l’iter parlamentare per l’approvazione della Legge di stabilità. Suggerimenti?
Il governo sta facendo il possibile visti gli esigui spazi di manovra concessi dal pesante debito che grava sul paese. L’indicazione è quella di confermare l’Iva sul welfare bocciando l’aumento che era stato stabilito da Monti e concentrare l’uso delle poche risorse disponibili. Il poco a tutti non serve, perché non cambia la situazione del singolo e pesa sulle casse pubbliche. Chiediamo un segnale forte sull’Irap perché penalizza le imprese, in particolare le labour intensive, cioè quelle ad alta intensità occupazionale come le cooperative, dove il costo del lavoro incide sul fatturato per oltre il 90 per cento. Perché non togliamo l’Irap per ogni giovane neoassunto? Questa misura non rappresenterebbe un calo di gettito ma un investimento perché darebbe vita a un circolo virtuoso: nuovo reddito imponibile e quindi nuovo gettito per l’erario e nuovi versamenti contributivi.

@giardser

Exit mobile version