Formigoni indagato. In procura vincono i “falchi”. Ipotesi e dubbi

Questa mattina sul Giornale un interessante articolo anticipava l'ufficializzazione dell'indagine. Si racconta anche della spaccatura all'interno della procura. C'è chi teme di «incriminare Formigoni per poi farlo assolvere un'altra volta»

Roberto Formigoni è indagato a Milano. Al governatore lombardo è contestato il reato di corruzione, con l’aggravante dei reati transnazionali, in concorso con Pierangelo Daccò e Antonio Simone, entrambi in carcerazione preventiva nell’inchiesta sulla sanità lombarda. Caduta invece l’accusa di finanziamento illecito per mezzo milione di euro ricevuto per le elezioni regionali del 2010.

La Regione non ha nessuna responsabilità sul controllo dei bilanci delle fondazioni San Raffaele e Maugeri. Queste le parole di Formigoni questa mattina durante un’audizione al Senato. «Bisogna tener presente – ha detto – che questi sono Irccs, enti a rilevanza nazionale. La vigilanza sui loro bilanci spetta al ministero della Salute». «Se avessi chiesto i bilanci – ha proseguito – mi avrebbero risposto “stai a casa tua”. Non potevo effettuare nessun controllo. In questi mesi sulla stampa si è fatta molta confusione, evidentemente per ragioni politiche. Le Regioni non hanno potere di controllare i bilanci. La responsabilità, oltre che di Prefetture e ministero della Salute, è anche dei collegi dei revisori dei conti, che fino al 2010-2011 hanno regolarmente approvato i bilanci». E dopo aver fatto nome e cognome dei componenti dei collegi interessati, Formigoni ha aggiunto: «La Commissione, magari, potrebbe decidere di audire questi signori». Alle 17.30 in Regione è prevista una conferenza stampa.

Questa mattina, sul Giornale era stato segnalato come l’arrivo dell’avviso di garanzia a Formigoni fosse imminente. Dando la notizia, il giornalista Luca Fazzo ha anche però descritto la spaccatura all’interno della procura di Milano: «La decisione di partire all’attacco – si legge nell’articolo – è maturata nelle ultime ore, in una Procura in cui sulla gestione dell’indagine ed in particolare sul trattamento da riservare al governatore non tutti la pensano allo stesso modo».

Secondo il Giornale, la decisione di rendere nota l’indagine a carico di Formigoni «segna indubbiamente una vittoria dell’ala più dura all’interno della magistratura inquirente milanese».
«Non è facile indicare schematicamente “falchi” e “colombe”. Ma di certo c’è che l’indagine che ruota intorno al governatore brilla per una anomalia: pur essendo l’indagine più delicata condotta in questo momento dalla Procura di Milano sul mondo della politica, non è gestita dal pool Pubblica amministrazione, coordinato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo, ma dal dipartimento reati finanziari, guidato da Francesco Greco. Tecnicamente questa stranezza ha una spiegazione precisa: a indagare sui rapporti tra Roberto Formigoni e i due lobbisti ciellini Piero Daccò e Antonio Simone, la Procura è arrivata partendo da una indagine per bancarotta fraudolenta, quella sul San Raffaele, che ha gemmato l’inchiesta sulla fondazione Maugeri e da lì è arrivata a Formigoni. Ma ciò non toglie che Robledo – protagonista di un aspro scontro con Greco già sulla gestione dell’inchiesta Serravalle – non abbia mai digerito l’invasione di campo».

Fazzo dettaglia quale sia il “problema” per i giudici di Milano: «Il quadro di legami personali, di favori, di vacanze, di cene descritto minuziosamente nel rapporto è sicuramente significativo sul piano del costume politico. Ma è sufficiente a configurare una accusa di corruzione? È su questo punto che le opinioni in Procura non sono univoche. Il rapporto quantifica in circa nove milioni di euro le utilità che Formigoni avrebbe percepito da Daccò, ma non ipotizza passaggi di denaro diretti. Al totale si arriva calcolando il valore di viaggi, passaggi in barca eccetera, nonché – ed è la fetta più consistente – ipotizzando un megasconto nell’acquisto da parte di un amico di Formigoni di una villa in Sardegna. Ma è chiaro che si tratta di quantificazioni in parte opinabili, e che in un processo verrebbero pesantemente contestate dalle difese. “Non possiamo incriminare Formigoni per poi farlo assolvere un’altra volta”: questo, in sostanza, era il pensiero di chi invitava alla cautela».

Non solo. Come scrive il Giornale «ancora in parte imprecisati sono i favori che i clienti di Daccò avrebbero ricevuto da Formigoni, ovvero gli atti pubblici che il governatore avrebbe addomesticati per compiacere il San Raffaele e la Maugeri in cambio dei regali del lobbista. E senza una indicazione precisa dell’oggetto della corruzione sostenere l’accusa in un processo sarebbe improbo».

Tuttavia, alla fine è prevalsa la linea dei “falchi”, per usare il termine di Fazzo. Da notare la frase conclusiva dell’articolo: «Ma, alla fine, è prevalsa la linea di chi ritiene che gli elementi siano comunque sufficienti per l’impeachment di Formigoni, lasciando poi al seguito dell’indagine la raccolta di ulteriori elementi, sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio. Soprattutto se da Daccò e Simone, tutt’ora in carcere, venissero quelle spiegazioni che i pm ancora si aspettano». La carcerazione preventiva serve a far dire quel “tutto” che i giudici s’aspettano di sentirsi dire?

Exit mobile version