Finanziaria tagli e cuci, pentiti impenitenti e giustizia all’italiana

La settimana

Una finanziaria di tagli alle spese (e rammendi di governo)?

Martedì scorso (15 giugno) il ministro del Tesoro Giuliano Amato ha annunciato che la prossima finanziaria sarà di circa 16mila miliardi, i quali però verranno recuperati da tagli alla spesa pubblica. Il giorno dopo (mercoledì 16) si è appreso però che i tagli veri e propri dovrebbero consistere in 6mila miliardi mentre 10mila miliardi verrebbero recuperati attraverso slittamenti e rimodulazioni di fondi già stanziati in diversi settori. È su questa impostazione “leggera”, atta a superare i contrasti e le difficoltà all’interno della maggioranza, spiegano indiscrezioni di palazzo, che dovrebbe venir impostato il Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef).

In due giorni i tagli si sono già ridotti da 16 a 6mila. Se le decisioni sono legate al grado di conflittualità della coalizione di governo, visto il clima che si respira dopo le elezioni, è difficile immaginare, ora di dicembre, a quale finanziaria si arriverà. A parte il fatto che per quest’anno il luminoso governo Prodi aveva previsto una finanziaria da 4mila miliardi (nel frattempo, quindi, quadruplicata), c’è sempre il Kosovo, o la crisi internazionale, per giustificare un improvviso aumento della manovra (magari a 20-25-30mila miliardi)… Quanto ai tagli si tratterà di capire se consisteranno in una riduzione reale della spesa statale o piuttosto l’accollamento, come nel caso dei ticket vari, di ulteriori costi sulle spalle del contribuente. Intanto gran parte della manovra vivrà sull’aurea tradizione ciampiana dei giochi contabili: posticipare le spese e anticipare le entrate. “Rimodulazioni”, le chiamano.

Voti, conflitti d’interessi e pentiti Questa settimana, nel corso del dibattito interno alla maggioranza su come far ripartire l’azione del governo, è tornato di attualità il tema del conflitto di interessi che avrebbe favorito Silvio Berlusconi, spinto dagli spot-tv: “Il caso Berlusconi e il successo della Bonino sono la dimostrazione che mancano regole chiare sulla tv. Sul conflitto di interessi la maggioranza dovrà qualificare la propria azione” ha spiegato il leader Ds Walter Veltroni. Negli stessi giorni (giovedì 17) al processo per l’omicidio del giudice Borsellino il pentito Salvatore Cancemi, dopo cinque anni di dichiarazioni, si è improvvisamente ricordato che “le persone importanti” con le quali Totò Riina parlava prima e dopo le stragi del ’92 erano i neo-eurodeputati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Così Cancemi ha illustrato il ragionamento che Riina esponeva ai suoi luogotenenti: “la Dc finiva e dovevamo garantire e coltivare questi nuovi, avere fiducia perché rappresentavano il nostro futuro, perché ci avrebbero dato sempre di più…”. In effetti Cancemi non ha indicato apertamente i due leader di Forza Italia come mandanti delle stragi, ma ha concluso: “Se io debbo avere una logica, i discorsi portano là”. Berlusconi ha presentato immediata querela per calunnia.

Dunque, come anticipato dall’Elefantino sul Foglio di lunedì 14, quando vince Berlusconi è colpa della televisione con cui il leader di F.I. farebbe il lavaggio del cervello agli italiani. Negli ultimi tre anni, con le stesse televisioni e gli stessi conflitti di interessi (nessuno parla del popolare Cecchi Gori o del ministro degli Esteri Dini, marito dell’ex signora Zingone titolare di un impero economico in Sudamerica?), la sinistra ha governato con pieni poteri senza, lei per prima, preoccuparsi di legiferare in materia del cosiddetto “conflitto di interessi”: forse si aspettano che ci pensi Berlusconi… In ogni caso, sull’onda dei tre milioni a Berlusconi ora la soluzione del problema appare improrogabile. E miracolosamente anche i pentiti riacquistano la memoria e tornano a parlare. Ora siamo però al grottesco e la vicenda dimostra solo che questo surreale sistema pentitico-giudiziario vive ormai di vita propria, fuori da ogni controllo screditando ogni azione giudiziaria. Di questo anche le sinistre (e l’intervista al Corriere della Sera del presidente della Commissione parlamentare antimafia Ottavia-no Del Turco di domenica 20 contro le incredibili dichiarazioni a tempo dei pentiti ne è una riprova) sembra che ormai se ne stiano rendendo conto.

Altra condanna annullata per Craxi Martedì scorso (15 giugno) la Cassazione ha annullato la sentenza del processo sul famoso conto Protezione (il conto svizzero su cui sarebbero finiti sette milioni di dollari versati dal banchiere del banco Ambrosiano Roberto Calvi al Psi) che in appello, nel ’97 a Milano, aveva condannato a 5 anni e 9 mesi Bettino Craxi e a 4 anni (interamente condonati) Claudio Martelli per bancarotta fraudolenta e illecito finanziamento ai partiti. Rinviato in appello anche l’ex direttore finanziario Eni Leonardo Di Donna, mentre è stata del tutto condonata la condanna a Licio Gelli. Il pg Di Zenzo si è mostrato molto polemico verso la sentenza dei giudici milanesi mostrando molti dubbi: intanto il famoso bigliettino “scritto di suo pugno” da Martelli a Gelli indicando gli estremi per il bonifico, non pare, come già evidenziato da una perizia sconfessata dai giudici milanesi, propriamente scritto di “suo pugno”; inoltre la presunta conoscenza da parte di Craxi del conto si basa solo sulle dichiarazioni di Silvano Larini che però non ripetè l’accusa, come richiesto dal nuovo 513, in aula. Ora le carte tornano alla corte d’Appello di Milano che dovrà rifare il processo. Craxi si era già visto annullare in Cassazione le sentenze del processo per le tangenti della Metropolitana (ora la nuova sentenza è in attesa di un nuovo verdetto della Cassa-zione) e del processo Enimont (l’appello-bis è in corso), mentre era stato assolto direttamente in primo grado per le tangenti Cariplo e i finanziamenti Fininvest alle feste dell’Avanti.

Un altro passo verso il ristabilimento di una giustizia più equilibrata dopo sette anni di sbornia giustizialista. Nel frattempo quanto costano al popolo italiano, in termini di costi reali e in termini di risorse umane e politiche, questi processi fatti e rifatti su prove traballanti e costruiti più che sui fatti su atmosfere e ipotesi?

Depenalizzati i reati minori Settimana scorsa la Camera ha approvato la legge che depenalizza i reati minori. Il provvedimento – una delega al governo varata nello stesso testo che aveva avuto il via libera del Senato – prevede che d’ora in poi cento reati minori spariscano dal codice penale e invece che essere puniti con il carcere vengano sanzionati con multe (alcune assai salate). Inoltre non sono più considerati reati il duello, il vilipendio e turpiloquio, l’oltraggio a pubblico ufficiale e la mendicità.

Un provvedimento che, ci auguriamo, possa rivitalizzare una giustizia ormai virtuale che, teoricamente, persegue tutto e tutti, di fatto, impegnata in grandi battaglie purificatrici, non riesce più a garantire nemmeno i diritti minimi e fondamentali dei cittadini. Del resto lo scopo del sistema giudiziario è permettere la convivenza tra gli uomini e, se possibile, recuperare al consesso civile chi delinque. E non rinchiudere in un serraglio umano chiunque trasgredisca, si tratti di schiamazzi, di una sbronza o di guida senza patente. Una giustizia celere, che si limiti a toccare nel portafoglio chi, per stupidità o disgrazia, commette una dabbennaggine e persegua fermando chi, invece, è veramente pericoloso per la collettività, sarebbe certamente più credibile. E, crediamo, anche più efficiente ed economica.

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