Fiat costretta ad assumere 145 operai Fiom. «Si rischia una guerra fra poveri»

Intervista a Giuseppe Terracciano, segretario generale Fim Cisl Napoli: «La sentenza che obbliga Fiat ad assumere 145 operai Fiom è molto pericolosa».

È lo stabilimento Fiat che più di tutti simbolizza lo scontro con la Fiom. Il Tribunale di Roma ha condannato l’azienda di Torino per discriminazione e a Pomigliano d’Arco dovranno essere assunti 145 lavoratori tesserati Fiom. Il segretario generale Landini parla di «ferita sanata», seguito a ruota dal leader Cgil Susanna Camusso («finalmente una buona notizia»). Per il responsabile economia del Pd Stefano Fassina «la sentenza sana un vulnus», il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, parla di «un bel regalo» e il presidente di Sel, Nichi Vendola, osserva che «ancora una volta un tribunale sanziona lo stile discriminatorio della Fiat di Sergio Marchionne». L’ad Fiat non ha ancora rilasciato dichiarazioni, e il suo è un silenzio che fa paura. Il motivo lo spiega a tempi.it Giuseppe Terracciano, segretario generale Fim Cisl Napoli, che ha seguito la trattativa di Pomigliano da vicino, sin dal referendum del 22 giugno: «Siamo molto preoccupati. Perché temiamo di restare con in mano un pugno di mosche. Il ricorso alla magistratura è un limite per l’autonomia del sindacato federale, a prescindere dalla sigla sindacale. È un precedente che potrebbe mettere in discussione l’autonomia delle classi sociali».

Per quale motivo è contrario alla scelta della Fiom?
Quando si fa un accordo, si considerano tanti elementi. Uno su tutti, il mercato. Non si può prescindere dai cambiamenti del sistema economico e restare inchiodati a un’idea di lotta inattuabile. Rischiamo di avere un modello di sindacato alla tedesca, in cui si verifica che le regole siano rispettate, ma non si ha la possibilità di contrattare. Di ottenere, dunque, maggiori diritti per i lavoratori.

Perché, allora, fare ricorso?
Fare sindacato in una grande azienda come la Fiat significa essere costantemente sotto osservazione della politica e dell’opinione pubblica. La tentazione di ricercare consenso è molto forte e la Fiom non ha l’autonomia necessaria per resistervi. Riesce difficile pensare che le decisioni della Fiom siano dettate dal desiderio di tutelare i lavoratori: è più probabile che vogliano rappresentare un riferimento politico, oggi assente in Parlamento. Certo, ci sono vertenze aperte che mettono a rischio posti di lavoro. Il vero problema è che molti lavoratori rimarranno delusi.

A chi si riferisce?
Io credo che la sentenza, nel merito, sia molto pericolosa. Rischia di scatenare una guerra tra poveri: ammesso e non concesso che la Fiat voglia applicare la sentenza, 145 lavoratori dovrebbero uscire dall’azienda per permettere ad altri 145, tesserati Fiom, di rientrare? E gli altri che sono stati licenziati, iscritti ad altri sindacati? Il nostro obiettivo, in linea di principio, è che tutti tornino a lavorare. Non soltanto quelli di un singolo sindacato. La Fiom è profondamente contraddittoria.

Perché?
Nel 2010 a Caivano, presso lo stabilimento Lear, ha detto sì a un accordo pressoché identico a quello che ha rifiutato a Pomigliano. Lo hanno firmato sia la Rsu che la segreteria provinciale. L’ironia sta nel fatto che quello stabilimento, appartenente alla multinazionale Usa, è destinato a produrre i sedili della Panda fabbricata a Pomigliano d’Arco. La Fiom è attraversata da anime differenti, e la discussione interna è più politica che di merito. Ricordo che se oggi Marchionne può escludere Fiom e riconoscere la rappresentanza alle sole sigle sindacali che hanno sottoscritto gli accordi è perché l’articolo 19 della legge 300 fu modificato nel 1995, attraverso un referendum sulla riforma dello Statuto dei lavoratori promosso da un gruppo politico che andava da Rifondazione ai Cobas, passando anche per la Fiom. In sintesi, hanno firmato una norma che ora viene applicata nei loro confronti.

Marchionne potrebbe decidere di chiudere l’intero stabilimento e lasciare l’Italia?
Noi della Fim e della Cisl che abbiamo accettato la sfida sottoscrivendo l’intesa per Pomigliano auspichiamo che tutti facciano la propria parte per contribuire a realizzare la nuova configurazione del più grande gruppo industriale italiano. Dobbiamo renderci conto che nessuno investe più in questo paese, soprattutto al Sud. Le imprese pretendono esigibilità, governabilità degli stabilimenti e stretto controllo dell’assenteismo. Se non si accettano queste condizioni, l’Italia affonda. L’accordo di Pomigliano ha dato uno scossone al nostro sistema industriale. Ci aspettiamo che presto vengano lanciati messaggi positivi, e che si raggiunga in tempi brevi la piena ripresa del sito.
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