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I soliti italiani, my God! Sarà un caso, ma da quando il sostegno dell’Italia alla missione della Nato in Kosovo ha cominciato ad oscillare, la stampa anglosassone ha risfoderato i toni severi e le battute sferzanti ai danni di personaggi e riti della politica italiana. L’epoca dei commenti entusiasti e dei complimenti stupiti, prodotto del diuturno lavoro di pubbliche relazioni degli uffici stampa dell’Ulivo dei giorni ruggenti, sembra essere finita il 17 aprile scorso, quando The Economist ha intitolato Loyal Italians (“Italiani leali”) un articolo sull’inaspettata lealtà atlantica dell’Italia nella crisi del Kosovo.

Non gli tremano le ginocchia…

Già in quell’occasione il positivo riconoscimento di fondo era stato preceduto da considerazioni men che rispettose: “Raramente considerata una delle nazioni guerriere d’Europa -aveva esordito il settimanale-, quasi mai l’Italia ha evocato fiducia fra i partner della Nato… Essa è dotata di un esercito imponente ma antiquato, ha una ancora forte riluttanza, spesso incoraggiata dal Vaticano, ad usare la forza militare e una perdurante (anche se non sempre meritata) reputazione di traditrice guadagnata alla fine della seconda guerra mondiale, quando senza tante cerimonie fece strame della sua alleanza con la Germania. Così, quando la Nato ha iniziato la sua guerra contro la Serbia utilizzando 14 basi aeree italiane, molti paesi dell’alleanza hanno temuto che le ginocchia degli italiani avrebbero presto cominciato a tremare”. A tanto proemio seguiva la lieta constatazione: “Ciò che era temuto non è accaduto. Il governo sta manifestando fermezza, l’opposizione più o meno lo appoggia e gli italiani in generale non si fanno prendere dal panico”.

…ma le riforme non arrivano Passava una settimana, e The Economist lamentava il fallimento del referendum contro la quota proporzionale: “Quanta speranza resta per l’urgente revisione della Costituzione italiana? Non molta, anche se i grandi partiti politici potrebbero ancora, se decidessero di collaborare, portare in Parlamento un pacchetto di riforme (legge elettorale, presidente eletto direttamente, devoluzione di poteri alle Regioni)”.

“Calma, Presidente Prodi!”
L’8 maggio è il turno di Romano Prodi, confermato Presidente della Commissione europea dal Parlamento europeo tre giorni prima, di passare sotto le forche caudine del noto settimanale britannico: “Il primo compito che aspetta Romano Prodi -recita con classico humour un editoriale- è di far capire agli europei perché hanno bisogno di un’istituzione della cui assenza (dopo le dimissioni del gabinetto Santer – ndr) da quattro mesi non si accorgono”. Ma questo è ancora niente. “Il grande trionfo domestico di Prodi -si dice poco dopo- è di aver con successo ridotto il deficit di bilancio italiano tanto quanto era necessario perché l’Italia entrasse nell’euro. Tuttavia spesso si trascura che è riuscito a ottenere ciò soprattutto aumentando le tasse”. La stilettata finale riguarda le parole di Prodi sul Kosovo: “”Dobbiamo già cominciare a pensare all’accordo post-bellico”, ha detto Prodi al Parlamento europeo, proponendo una conferenza di pace sui Balcani. Progettare la ricostruzione del Kosovo è ragionevole, ma i grandi colloqui di pace sono di competenza dei governi, non della Commissione. Un presidente forte non è quello che fa tutto da sé. E’ piuttosto quello che ha la lungimiranza di immaginare le esigenze dell’Europa da qui a dieci anni e la saggezza di riconoscere che ci sarà bisogno di istituzioni solide -non solo la propria, ma anche quelle presiedute da altri- per soddisfarle”. Touché! “Bravo Ciampi, ma pure lui…”
Infine pure il Financial Times fa le pulci a Carlo Azeglio Ciampi, nuovo capo dello Stato italiano. Il commento di venerdì scorso si apre con toni entusiastici: “Con la sua elezione come nuovo presidente della Repubblica ci sono speranze che a Roma le cose siano sul punto finalmente di cambiare. Politici di destra e di sinistra si sono uniti per scegliere un uomo largamente rispettato per la sua indipendenza e autorità personale”. In cauda venenum: “Alcuni critici affermano che i compiti che ora gli stanno davanti sono molto più complicati delle sue precedenti conquiste economiche. La riduzione del deficit di bilancio italiano è giustamente ammirata, ma i ciritici dicono che è stata ottenuta con misure occasionali, e non con riforme strutturali di aree come le pensioni e il mercato del lavoro”.

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