Europinioni 19

Europinioni

Disoccupazione e posti di lavoro scoperti in Europa: ricette a confronto Sui temi del lavoro in Europa, di cui ci occupiamo parecchio in questo numero (cfr. pp. 4-6), è interessante registrare l’approccio quasi opposto di due autorevoli riviste internazionali che ne fanno la storia di copertina: il britannico The Economist e l’americano Time. Entrambi partono dallo stesso giudizio di fatto per suggerire soluzioni molto diverse. L’Europa è un posto paradossale, con un tasso di disoccupazione più che doppio di quello americano e allo stesso tempo migliaia di posti di lavoro che restano scoperti per mancanza di domanda o di qualifica, dicono i due settimanali. Che fare? La risposta dell’Economist è senza tentennamenti: aprire le porte dell’Europa a milioni di nuovi immigrati. Time invece fa capire che l’Europa potrebbe risolvere il suo paradossale problema di alti tassi di disoccupazione e di posti di lavoro scoperti se desse una regolata alla legislazione del lavoro, alle politiche fiscali e al sistema formativo ed educativo.

The Economist: “aprire le porte agli immigrati”
“Poichè gli europei hanno così pochi bambini e vivono così a lungo –scrive The Economist- l’Unione europea dovrebbe importare 1,6 milioni di immigrati all’anno semplicemente per mantenere stabile la sua popolazione in età lavorativa fra oggi e il 2050. Considerato che la disoccupazione in Europa sta diminuendo e la sua popolazione si mostra sempre più esigente riguardo ai lavori che è disposta a fare, o poco formata per i posti che si stanno creando nel settore tecnologico, la manodopera del continente ha bisogno di rinnovamento come mai in passato. Gli immigrati tendono ad iniettare vitalità, energia e una disponibilità fuori dal comune a lavorare con impegno in occupazioni poco apprezzate in paesi immobili e in via di invecchiamento”.

Time: “europei, datevi una svegliata”
Di tono diverso l’intervento di Time: “Nello stesso momento in cui 15 milioni di persone sono registrate come disoccupati nell’Unione europea, milioni di posti di lavoro restano vacanti per mancanza di richiedenti qualificati… Secondo la maggior parte degli esperti il dilemma europeo dell’occupazione è fondato su un sistema educativo rigido, alto prelievo fiscale sul lavoro dipendente e ostacoli alla mobilità… I leader cominciano a riconoscere l’esigenza vitale per l’Europa di valorizzare il suo vasto potenziale. Questo significa promuovere l’apprendimento permanente, abbassare le tasse sul lavoro dipendente e fare del lavoro una proposta interessante per i molti europei che oggi scelgono di tenersene fuori… In molti paesi europei gli incentivi a cercarsi il lavoro sono scarsi. In Belgio, per esempio, un capofamiglia che perde un lavoro fisso può ricevere fino a 804 dollari al mese di sussidio di disoccupazione, senza limiti di tempo. Un posto di lavoro a basso reddito rende soltanto 898 dollari al netto delle tasse”. Insomma, gli americani invitano gli europei a darsi una mossa, i britannici li invitano a riposare e far lavorare qualcun altro. Come si faceva nelle colonie inglesi…

Dentro la Ue la linea su Haider non è più unitaria Che all’ultimo vertice dei ministri degli Esteri dell’Unione europea (Ue) sei paesi abbiano chiesto una revisione della politica delle sanzioni imposte per via bilaterale all’Austria a causa dell’ingresso nella maggioranza governativa del Fpö di Jörg Haider, è notizia di pubblico dominio. Nel corso del summit svoltosi lo scorso week-end a Furnas nelle isole Azzorre, per la prima volta dall’inizio della crisi fra i Quattordici è venuta meno l’unanimità sull’atteggiamento da tenere nei confronti di Vienna: Italia, Irlanda, Spagna, Finlandia, Danimarca e Grecia si sono smarcarte dalla linea rigida tuttora perseguita da Francia, Belgio e Gran Bretagna.

Poca informazione, invece, il popolo di Eurolandia riceve a proposito delle prese di posizione sulla questione “sanzioni all’Austria di Haider” negli stati europei che non fanno parte dell’Ue ma hanno presentato domanda di adesione. Per colmare la lacuna tocca addirittura prendere in mano la stampa di Oltreoceano, dove sul New York Timesè apparso il 1° maggio, a firma di un ex parlamentare ungherese ora emigrato e docente all’Università della California, un articolo molto utile.

Solidarietà mitteleuropea per la Vienna nero-blu “L’azione sovranazionale concepita dall’Ue non trova molto sostegno a est dell’Austria”, scrive Miklos Haraszti. “Vaclav Havel, presidente della Repubblica ceca, denuncia vigorosamente l’”haiderismo”. Arpad Goncz, presidente ungherese, ammonisce che “quello che è successo in Austria può accadere altrove”… ma questi leader esprimono la coscienza nazionale, però non governano. I loro governo espressione dei parlamenti li contraddicono e, benchè aspirino ad entrare a far parte dell’Ue, hanno rifiutato di unirsi all’Europa occidentale nel ridurre le relazioni con Vienna. Vaclav Klaus, presidente della Camera dei deputati ceca, in una lettera di solidarietà al cancelliere austriaco Schüssel ha affermato che Haider è “un male minore rispetto alla pretesa dell’Unione europea di opporsi alla decisione sovrana di uno dei suoi membri”. Viktor Orban, il primo ministro ungherese, ha invitato il cancelliere Schüssel in Ungheria. Il loro rinnovato asse austro-ungherese si è materializzato la settimana scorsa… Orban ha dimostrato una crescente disponibilità ad accettare il sostegno al suo governo da parte dell’estrema destra parlamentare del leader Istvan Csurka, il cui partito ha organizzato un meeting di protesta contro le sanzioni all’Austria”. Per Haraszti le posizioni di Klaus e Orban sono il frutto di un “pragmatismo senza princìpi” che ha preso piede dopo la caduta del comun ismo, ma altre interpretazioni si affacciano alla mente: i paesi che furono parte dell’Impero austro-ungarico hanno evidentemente una visione dei problemi austriaci diversa da quella dei paesi dell’Europa occidentale. C’è probabilmente una dimensione mitteleuropea del caso Haider che non coincide tanto con l’area linguistica tedesca, come molti hanno sin qui sottolineato, ma piuttosto coi territori dell’impero degli Asburgo. Sarebbe la riprova che l’Europa, anche nell’epoca della globalizzazione, resta un continente estremamente plurale, dove è difficile pensare soluzioni uguali per tutti.

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