Elezioni Usa 2012. Il 50 per cento dei cattolici ha votato Obama

Il voto dei fedeli lationos e afro-americani è andato a Obama. A favorire ciò le difficoltà economico-sociali. I religiosi praticanti sono il gruppo che ha più favorito i repubblicani.

Nonostante Obama abbia attaccato la libertà religiosa, stabilendo che scuole, enti cattolici e ospedali religiosi dovranno pagare assicurazioni che includano abortivi e contraccettivi contro la libertà di coscienza, pena multe ingenti o la chiusura degli stessi enti, e nonostante la Chiesa cattolica si sia mossa in difesa «di questa libertà che sola può garantire tutte le altre», come ha detto più volte il capo dei vescovi americani, il cardinale Timothy Dolan, il 50 per cento dei fedeli ha votato per Obama. Un dato che fa da contraltare al fatto che il repubblicano Romney, sostenitore dei princìpi non negoziabili tanto cari al magistero, abbia ricevuto più voti in assoluto dalla categoria di elettori cosiddetti religiosi, ossia dei praticanti convinti che la fede debba influenzare ogni scelta di vita (60 per cento, contro il 40).

FEDE PUBBLICA E PRIVATA. Come emerge dai dati, i cattolici che hanno votato Obama sono sopratutto di origine sudamericana (70 per cento) e afro-americana (94 per cento). Sembra strano visto che sia i latinos sia i neri sono in maggioranza a favore della famiglia naturale, contrari all’aborto e alla libertinismo. Ma il perché di questa scelta si può giustificare a partire da due fattori. Il primo è che questa fetta crescente di elettori, legati alle tradizioni religiose, ha però una concezione privata della fede e del proprio stile di vita. A dirlo è stato Timothy Matovina, direttore del centro per lo studio del cattolicesimo americano dell’Università cattolica di Notre Dame, che sulle colonne di Avvenire ha spiegato che «il loro approccio è quello di cercare di proteggere i loro valori nella comunità in cui vivono», ma che «a livello federale votano invece pensando alle opportunità che possono offrire ai loro figli».
Il secondo fattore è dato dalla crisi economica e dal fatto che mentre Obama ha puntato molta parte della propria compagna elettorale su queste aspirazioni, promettendo ricongiungimenti familiari, finanziamenti e borse di studio, Mitt Romney non pare aver guardato abbastanza a questo elettorato crescente.
Hanno votato invece per Romney la grande maggioranza di tutti coloro per cui la religiosità coincide con l’appartenenza alla Chiesa e che partecipano settimanalmente alla Messa, guardando maggiormente alle posizioni del candidato in linea con i criteri con cui la Chiesa chiede di votare. E sempre Mantovina ha spiegato perché: «I fedeli che sono più assidui alla Messa domenicale sono più attenti al ruolo che la loro fede riveste non solo nella vita privata, ma anche nelle loro decisioni pubbliche». Essa infatti non è considerata un bene solo per i credenti ma per tutta la società.

SUSSIDIARIETA’ E SOLIDARIETA’. Se è vero quindi che nella fede intimista, in cui il consiglio e la guida della Chiesa passano in secondo piano, la responsabilità pubblica è meno sentita, pare che i repubblicani non abbiano fatto molto per promettere ai latinos un aiuto a riscattarsi. Un fatto che i vescovi cattolici non hanno mai negato, pur considerando più importanti i cosiddetti “princìpi non negoziabili” determinanti una vita buona. Tanto che lo stesso Dolan, stimatore di Paul Ryan (vice di Romney) anche per la sua politica sussidiaria e ispirata dalla vita cristiana, aveva apprezzato pubblicamente l’operato del repubblicano ricordandogli il bisogno di una maggiore solidarietà dello Stato verso i più poveri.
Ieri qualcuno ha parlato di sconfitta dei vescovi, che, incapaci di capire l’elettorato, hanno puntato più sui “valori umani” che su quelli sociali. Ma le parole di Dolan e di altri otto alti prelati a ridosso del voto dicono di una gran consapevolezza della confusione dei fedeli. Anche di quelli che pur dicendosi legati alla tradizione, avendo sempre votato democratico si sono trovati confusi dopo gli outing di Obama, che pur definendosi cristiano in questi mesi ha preso misure contro le Chiesa e la libertà religiosa. Non a caso, Daniel Jenky, vescovo di Peoria (Illinois), il giorno prima delle elezioni ha parlato dell’operato del governo come di «un assalto alla libertà religiosa mai visto prima», ricordando a «coloro che sperano nella salvezza che nessuna appartenenza politica può essere anteposta a quella a Gesù Cristo e al suo Vangelo di Vita».

I VESCOVI DOPO IL VOTO. Senza perdersi d’animo la Conferenza episcopale americana ha salutato il presidente, promettendo che i vescovi cattolici degli Stati Uniti pregheranno per lui, in particolare «affinché il suo incarico sia svolto in nome del bene di tutti, specialmente per quanto riguarda l’attenzione per i più deboli e i più vulnerabili, inclusi i non ancora nati, i poveri e gli immigrati», e sottolineando che «noi continueremo a batterci in difesa della vita, del matrimonio e di quello che ci sta più a cuore: la libertà religiosa».

@frigeriobenedet

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