Ebrei, cristiani, fratelli

“Tempi” pubblica in anteprima un documento d’importanza straordinaria, preparato da una Commissione rabbinica di esperti guidata dal gran rabbino Charles Touati. Nel 1973 stabilì che «il rifiuto del cristianesimo poteva essere evitato» da parte ebraica, ma poi sparì. Dopo l’estate, verrà pubblicato sul semestrale “Revue des études juives” dal gran rabbino di Strasburgo René Gutman, che abbiamo intervistato. David Jaeger, ebreo e sacerdote cattolico, evidenzia luci e ambiguità di quel documento. Che però rimane lì, tutto da leggere e tutto da meditare

Il cristianesimo nella teologia ebraica
Dossier preparato dalla Commissione di Esperti designata dal Gran Rabbino di Francia e di cui sono membri Levinas, Touati e Vajda

1) Il rifiuto del cristianesimo avrebbe potuto essere evitato
Trapela un certo rimpianto dal famoso aneddoto del Talmud Babli, Sanhedrin 107b e Sota 47a (testi censurati dalla censura cristiana, ma reperibili nell’Hesronot Ha-shas e nell’edizione del Sanhedrin di Adin Steinsalz) in cui una barayta enuncia quanto segue: «Che la mano sinistra respinga sempre, ma che la mano destra riavvicini, contrariamente a quanto con due mani fecero Eliseo respingendo Géhazi o Josué b. Perahya respingendo Gesù».
2) I cristiani non sono degl’idolatri: adorano il Dio che ha creato il mondo e con gli ebrei hanno in comune un certo numero di credenze
I testi sono numerosi. Citiamo anzitutto Tosafot, Bekhorot 2b, s.v. shemma: «“I cristiani” giurano tutti invocando i nomi dei santi che però non considerano delle divinità. Benché menzionino il nome divino pensando a Gesù, non invocano mai degl’idoli: inoltre, questo loro pensiero è rivolto al Dio creatore del cielo e della terra. Benché associno il nome di Dio ad altre cose, quando li si fa giurare non trasgrediscono il divieto: lifney ’iwwer lo titten mikhshol, giacché l’“associazione” (shittuf) non è stata vietata ai noachiti. Si veda pure Tosafot, Sanhedrin, 63b, s.v. asur e Tosafot Aboda Zara, 2a, s.v. asur: «Siamo certi che i non ebrei che stanno fra noi non sono idolatri» (anche i testi dei Tosafot sono stati censurati; noi ci basiamo sui manoscritti e sulle antiche edizioni; si veda Urbach, Ba ’aley ha-tosafot, pp. 59-60). Nel suo commento al Talmud, Rabbenu Menahem ha-Méiri insiste sempre sul fatto che le leggi talmudiche contro i pagani non colpiscono né i cristiani, né i musulmani che egli qualifica come «ummot ha-gedurot be-darkhey ha-datot» (nazioni regolate da norme religiose); si vedano, fra altri, i suoi Commentaire sur Aboda Zara, éd. Schreiber, 1944, pp. 28, 49, 53, etc., e Commentaire sur Baba qamma, ed. Shlesinger, Gerusalemme 1973, p. 330: «Chiunque faccia parte delle nazioni regolate da norme religiose e servitrici di Dio in un qualsiasi modo, nonostante le sue credenze divergano dalle nostre è, per quanto concerne queste cose (per esempio per quanto concerne la restituzione dell’oggetto perduto), come un perfetto israelita (Yisra’el gamur)». Si vedano anche Rosh, Sanhedrin, VII, 3, e Shulhan Arukh, Orah Hayyim, 156, §1; Moshé Rivkes, Hoshen Mishpat, 425, §5; Be’er ha-gola, l’ampia nota shin; e Abraham Sebi Eisenstadt, Pithey Teshuba, su Yore Déà, 147 e 152, nota 2, dove è possibile reperire numerosi riferimenti alle raccolte di sentenze moderne. A proposito di abedat ’akum che non si dovrebbe restituire, si veda Be’er ha-gola su Hoshen Mishpat, 266, nota alef: questa norma non vale per i Gentili di oggi che riconoscono il creatore del mondo, etc. (si veda R. Joseph Karo, Bet Yosef in Tur, stesso paragrafo).
3) La «salvezza eterna» dei cristiani
Così scrive Juda Hallévi, il più rigido dei nostri pensatori: «Non neghiamo ad alcun uomo, a qualunque comunità religiosa egli appartenga, la ricompensa di Dio a motivo delle buone opere che egli avrà compiuto» (Kuzari, I, §111, testo arabo, p. 62); e più oltre (III, §21, testo arabo, p. 174): «La ricompensa per aver voi glorificato Dio non andrà perduta». Spingendosi ben più lontano, Isaac Arama, che scrive nella Spagna del secolo XV alla vigilia dell’espulsione degli ebrei da quel Paese, stima che, a meno di non voler attribuire il male a Dio, è necessario comprendere appropriatamente il vocabolo «Israele» contenuto nella frase «Israele tutto ha un ruolo nell’“olam ha-ba” nel senso del giusto di tutte le nazioni» (Aqedat Yishaq, Shemini, portico 60).
4) Israele deve ispirarsi ai cristiani, ai musulmani, etc.
Valendosi del detto talmudico: «Voi non avete agito come i più retti “fra i non ebrei”, ma avete agito come i più depravati» (Babli, Sanhedrin, 39b), Bahya Ibn Paquda giustifica i suoi prestiti ai filosofi e agli asceti non ebrei, tanto più che i rabbini hanno dichiarato: «Chiunque pronunci una parola saggia, persino fra le nazioni del mondo, si chiama hakham» (Babli, Megilla, 16a) (Hobot ha-lebabot, prefazione, testo arabo, p. 26, trad. ebraica, ed. Zifroni, p. 20).
5) Il cristianesimo e l’islam hanno contribuito a migliorare l’umanità
Si veda Maimonide, Guida dei perplessi, III, cap. 39, trad. Munk, p. 221: «Vediamo oggi la maggior parte degli abitanti della terra glorificare “Dio” di comune accordo e invocare su di sé la benedizione della sua memoria, “quella di Abramo” […]»; Nahmanide, Torat ha-Shem Temima, in Kitbey ha-Ramban, ed. Chavel, t. I, pp. 142-144: i popoli di oggi tengono un meraviglioso comportamento morale e religioso; Idem, Commentaire sur le Cantique des Cantiques (attribuito a Ramban), medesima edizione, t. II, pp. 502-503: tutte le nazioni riconoscono le parole della Tora; Ralbag, Milhamot, ed. Leipzig, p. 356, e Commentaire sur la Tora, ed. Venise, p. 2: La Tora è oggi diffusa presso tutte le nazioni del mondo.
6) Il cristianesimo e l’islam preparano la strada del Messia
Si veda Juda Hallévi, Kuzari, IV, §23, testo arabo pp. 264-266: «Dio ha pure un disegno segreto che ci riguarda, simile al disegno che ha per il seme. Quest’ultimo cade al suolo e si trasforma; in apparenza, si muta in terra, acqua e concime, e chi lo osserva immagina che non ne resti più alcuna traccia visibile. Ora, in realtà è il seme che trasforma terra e acqua donando loro la sua natura: gradualmente, trasforma gli elementi in qualche modo diluendoli e rendendoli simili a sé. […] La forma del primo seme fa crescere sull’albero dei frutti simili a quelli da cui è stato tratto il seme stesso. Così è per la religione di Mosè. Benché esteriormente la respingano, tutte le religioni comparse dopo di essa sono in realtà delle trasformazioni di essa. Queste altre religioni non fanno che aprire la via e preparare il terreno per il Messia, oggetto delle nostre speranze, che è il frutto» (trad. Touati); si veda anche Maimonide, Mishne Tora, Hilkhot Melakhim, XI, § (testo anche questo censurato e ristabilito in base ai manoscritti della Bibliothèque Nationale), citato con qualche variazione in Nahmanide, Torat ha-Shem Temima, ed. Chavel, I, p. 144: il cristianesimo e l’islam «non fanno che preparare la via per il Re-Messia e che migliorare (taqqen) il mondo intero affinché esso serva Dio di comune accordo […]».

Per la Commissione, Gran Rabbino Charles TOUATI
Parigi, 23 maggio 1973

Intervista a René Gutman a cura di Mario Mauro
«Anzitutto vorrei dirle — inizia il rabbino Gutman — una cosa importante. C’è un precedente al documento del 1973. È la posizione assunta due secoli fa dai rabbini di Francia e Italia. Nel 1806, Napoleone operò per integrare gli ebrei nella società francese. Convocò a Parigi il rabbinato dell’Impero francese e del Regno d’Italia in Gran Sinedrio — 71 fra dottori della Legge e notabili d’Israele, più i supplenti rabbinici e laici, i verbalizzatori, gl’ispettori di sala e gli scribi — e formulò dodici domande per chiarire la posizione ebraica su una serie di questioni religiose, sociali e politiche. Questo avvenimento di portata eccezionale è illustrato nel volume Le document fondateur du Judaïsme français: Les décisions doctrinales du Grand Sanhédrin 1806-1807, pubblicato a mia cura nel 2000 dalle Presses Universitaires de Strasbourg, da cui si evince un elemento importantissimo. Nel Gran Sinedrio figurano numerosi italiani e sono loro gli elementi più “aperturisti” nei confronti delle altre religioni, in particolare del cristianesimo».
Può illustrare l’importanza delle decisioni del Gran Sinedrio?
Mostra come il documento del 1973, frutto dei lavori della Commissione di esperti da me presieduta, era in gestazione sin d’allora. Rispondendo a Napoleone con la medesima solennità da lui adottata nel porre le domande, nell’Articolo IV delle proprie Decisioni dottrinali il Gran Sinedrio esplicita la propria posizione e così facendo anticipa gli aspetti del lavoro di studio condotto dalla Commissione di Esperti istituita nel 1968 dal rabbino Charles Touati, che si conclude sottolineando gli elementi di fratellanza fra ebrei e cristiani… E allora tutto diviene possibile!
Un precedente davvero importante…
E non è l’unico. La Commissione del 1968 riprende un approccio che da un lato è in gestazione dall’epoca napoleonica, dall’altro è già stato formulato nel Medioevo. Nonostante i malintesi e le fratture dogmatiche tra le religioni evidenziatisi nel corso della storia, già a partire dal Medioevo e fino al documento della Commissione si è sviluppata una dinamica di pensiero ebraico estremamente fraterna verso i cristiani e molto decisa nel dialogo. Purtroppo è poco conosciuta o addirittura del tutto sconosciuta. E qui torna l’importanza degli ebrei italiani. Il loro ruolo in rapporto al dialogo giudeo-cristiano è, nella storia moderna, fondamentale.
Stupisce allora che il documento della Commissione rabbinica francese sia stato ignorato…
Fu presentato al gran rabbino di Francia solamente nel 1978. Ne nacque un ampio e profondo dibattito. Si toccò anche il tema dell’antisemitismo, domandandosi se la Chiesa cattolica avesse “condannato” o solo “deplorato” l’odio razziale contro gli ebrei, e poi concludendo in favore della seconda ipotesi. Non c’è quindi da stupirsi che siano stati necessari anni per esaminarlo. L’unanimità sul documento, però, non c’è mai stata e questo ha impedito la formulazione di una dichiarazione di risoluzione comune a tutto il rabbinato francese. Un certo numero di rabbini francesi provenienti dall’Africa Settentrionale, per esempio, era in quegli anni molto più sensibile al rapporto con l’islam. Un ruolo fondamentale nel dialogo ebraico-cristiano l’ha svolto comunque, a partire dagli anni Settanta, la città di Strasburgo, nel cuore di quell’Alsazia che storicamente è già di suo un vero e proprio importante crocevia fra culture diverse. Il rabbinato e la sede vescovile di Strasburgo percorrono la strada feconda indicata dalla Commissione del 1968 già da diverso tempo…
Come considera l’atteggiamento di Papa Giovanni Paolo II nei confronti dell’ebraismo?
Nessun pontefice si è spinto così in là come lui! Qui a Strasburgo è stato a suo tempo ricevuto a nome del Comitato ebraico. Il dialogo è riuscito. Da parte nostra, forti di un eccellente rapporto con il pontefice, si è sempre cercato d’incoraggiare gesti e dichiarazioni come queste. Ripeto: nessuno si è spinto così in là come lui!

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