Due israeliani per un Accordo

Retroscena e ruolo (decisivo) svolto dai due coetanei (ma di opposte storie) di Tel Aviv, David Jaeger e Shlomo Gur, nell’Accordo e reciproco riconoscimento diplomatico tra Israele e Santa Sede. Da un brano della biografia (autorizzata) di Giovanni Paolo II

Nel settembre del 1993,1’Accordo fondamentale stava lentamente prendendo forma. Ma le riunioni tra esperti si erano rivelate difficili e rimanevano irrisolti numerosi dettagli tecnici come il problema delle relazioni diplomatiche. (…) Appuntamento (con testimone) al Plaza. Il resto, senza clergyman, all’Hilton In un passaggio tanto cruciale, ciò che permise la conclusione dell’Accordo fondamentale fu un negoziato dietro le quinte.

Tale attività ufficiosa fu opera di padre David Jaeger e di Shlomo Gur, un diplomatico israeliano quarantatreenne assegnato, all’epoca, all’ufficio del sottosegretario agli Esteri Yosi Beilin. I due iniziarono a vedersi durante i difficili incontri a livello di esperti tenuti fra la fine del dicembre 1992 e i primi di gennaio 1993. In quell’occasione Gur ricevette una telefonata da un giornalista israeliano, che gli faceva presente che un collega italiano desiderava porsi in contatto con i negoziatori; acconsentì a vederlo e il giornalista italiano si rivelò essere il corrispondente romano del “Corriere della Sera” (Lorenzo Cremonesi, ndr) amico di vecchia data di David Jaeger. A quel punto Gur venne chiamato una seconda volta, a casa, dallo stesso Jaeger, che gli chiedeva di potergli parlare. I due uomini decisero di darsi appuntamento all’Hotel Plaza di Gerusalemme, dove Jaeger si presentò, per la prima e unica volta in quegli incontri, in clergyman. Entrambi israeliani, coetanei, ma provenienti da esperienze radicalmente diverse, i due si trovarono subito in sintonia sul piano personale. Ne scaturì un dialogo a ruota libera, aperto e franco. Come ricordano, si videro una dozzina, forse una quindicina di volte nell’autunno del 1993, solitamente all’Hilton di Gerusalemme. Oggi ridono entrambi delle congetture messe in giro all’epoca dalla stampa su voli in incognito nelle capitali europee. Si fidavano ciecamente l’uno dell’altro e la loro fiducia venne premiata: non vi fu la minima fuga di notizie. Fu un dialogo franco, privo di pose, che permise uno scambio di idee e, infine, di bozze per un Accordo fondamentale completo.

Nessuna delle due delegazioni presenti agli incontri fra esperti era al corrente del loro lavoro. (…) Quando i capi delegazione degli incontri fra esperti vennero a sapere dai loro superiori che l’accordo era stato raggiunto grazie a riunioni ufficiose, sia l’arcivescovo Montezemolo sia l’ambasciatore Eitan Margalit accettarono quella procedura senza esitazioni.(…) Non solo istituzioni, ma “realtà educative”. Disputa cruciale su cosa è “la Chiesa cattolica”.

Nel dicembre del 1993 non restava che condurre il negoziato a uno sbocco positivo e definitivo che permettesse di suggellare l’accordo. L’ultimo sostanziale ostacolo da eliminare riportava entrambe le parti alla questione di cosa significasse “Chiesa cattolica” ai fini dell’Accordo fondamentale. Gli israeliani la consideravano come l’insieme delle diverse Chiese locali di rito diverso esistenti sul loro territorio. David Jaeger, come avrebbe rivelato successivamente, era “assolutamente contrario” ad avallare una definizione suscettibile di ridurre la “Chiesa cattolica” in Israele alla somma delle espressioni del cattolicesimo istituzionalizzate in quel momento. Altri riti orientali avrebbero forse desiderato stabilire una loro presenza in Terra Santa; sarebbero potute nascere nuove istituzioni educative, caritatevoli o pastorali; e, comunque, da un punto di vista teologico “la Chiesa cattolica” era molto più che un elenco delle entità esistenti. Jaeger era determinato a far sì che l’Accordo fondamentale riflettesse tale visione. La questione venne risolta con un incontro finale dietro le quinte fra Jaeger e Shlomo Gur, dopo il quale gli esperti, anche grazie ai consigli giuridici prestati a Jaeger da amici israeliani e americani, infine concordarono, durante un dibattito molto acceso, di inserire la locuzione “inter alia” nel testo dell’accordo, che definiva quindi “la Chiesa cattolica” e “la,Chiesa” “comprendente, inter alia, le sue comunità e istituzioni”. (…) Giovanni Paolo II e Patriarchi danno l’ok finale Nel corso dell’intero negoziato, Giovanni Paolo II aveva insistito sulla necessità di tenere al corrente le dirigenze cattoliche di rito orientale e ortodosse, mentre l’arcivescovo Jean-Louis Tauran aveva informato non pochi governi arabi. A un passo dalla conclusione il cardinale Sodano, responsabile della formulazione della raccomandazione finale da sottoporre al Papa, decise di consultare una speciale Commissione composta da sei cardinali, fra cui Ratzinger, Casaroli, Laghi e Silvestrini. Preventivamente informati sull’andamento dei negoziati e in taluni casi fatti oggetto di pressioni da parte dei protagonisti del negoziato, i cardinali della Commissione speciale raccomandarono all’unanimità l’approvazione della bozza di Accordo fondamentale, con qualche piccolo ritocco che non creò alcuna difficoltà ai negoziatori israeliani. Infine, la Santa Sede interrogò formalmente il Patriarca di rito latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, e due Patriarchi cattolici di rito orientaie. L’interpellanza consisteva in due quesiti. L’Accordo fondamentale ha da farsi in termini assoluti? Va fatto ora? Le risposte furono: fatelo, e fatelo adesso.

Il 10 dicembre 1993 l’Accordo fondamentale venne sottoscritto dall’arcivescovo Montezemolo e dall’ambasciatore Margalit presso il ministero degli Esteri israeliano.

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