Donatello non legge,per legge

Vietato cumulare contributo pubblico e pagamenti privati per coprire i costi della riabilitazione di un ragazzo cerebroleso. Donatello Scalas non può sperare di guarire perché la legge glielo impedisce. E i nuovi decreti della Bindi nemmeno si pongono il problema

Ne uccide più lo statalismo della spada, anche quando si ammanta delle vesti rispettabili e austere del regionalismo: parola di Daniele Scalas, padre di Donatello, ragazzo sfortunato che il 30 dicembre di cinque anni fa, mentre attraversava un incrocio di Assemini (provincia di Cagliari) col motorino, fu travolto da un autocarro che non aveva rispettato uno stop. Da quel giorno Donatello è entrato in un tunnel di sofferenza causato non solo dalle conseguenze del terribile incidente, ma dall’ottusità di leggi che sembrano pensate apposta per rendere più difficile la guarigione dei malati. Grazie alla combattività di suo padre, il ragazzo non è stato finora ucciso né dai postumi dell’incidente, né dalle spire della burocrazia sanitaria, ma la lotta è dura più che mai.

Vittima di un grave trauma cranico, dopo alcuni mesi e un ricovero al Santa Lucia di Roma Donatello è uscito dal coma, ma è rimasto in quella situazione di paralisi quasi totale che i medici chiamano “sindrome apallica”. Come molte altre persone nella sua situazione, potrebbe fare grandi progressi se potesse usufruire dei servizi di un centro specializzato di riabilitazione. E qui cominciano i problemi.

In Europa ci sono tre centri di alto livello che forniscono le cure del caso: Innsbruck, Lione e Villa Beretta a Costamasnaga, provincia di Lecco. A Innsbruck gli Scalas ci sono stati, dopo inenarrabili traversie. Hanno presentato in Regione, debitamente compilato in tutte le sue parti, il modello 112, quello con cui si chiede il concorso per spese mediche all’estero. Ma prima di vedere approvata la richiesta sono passati nove mesi, trascorsi i quali a Innsbruck non c’era più posto. Nel dicembre ‘95, finalmente, il viaggio della speranza si è potuto fare, ma poco ci è mancato che si trasformasse in tragedia: a causa di una serie di disagi logistici, Donatello è giunto in Austria in condizioni di insufficienza respiratoria, e si è salvato per un pelo. Dopo alcuni mesi di trattamento, rientra in Italia con un programma riabilitativo da svolgere a domicilio. Il padre prende contatto, su consiglio di vari esperti, con Villa Beretta, e la Regione Sardegna invia un suo ispettore per valutare la possibilità di un accordo per far curare lì Donatello. Ma per mesi tutto tace, finché un brutto giorno (febbraio ‘97) la situazione precipita: a causa di un’infelice profilassi antiinfluenzale a base di antibiotici ricade nel coma, e deve essere ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale Brozu di Cagliari. Lo salvano, ma non possono dimetterlo: non è più in grado di respirare da sé, dipende completamente dal respiratore. Da questa dipendenza lo libererà il prof. Gattinoni, luminare del policlinico di Roma, nel gennaio ‘98: “Nel giro di due ore il professor Gattinoni ha liberato Donatello dal respiratore -racconta Daniele Scalas-. Da undici mesi era ricoverato in rianimazione, con un costo di un milione al giorno per la collettività. E’ il destino di tanti cerebrolesi: restano ricoverati per mesi, spesso inutilmente, in rianimazione, mentre avrebbero bisogno di interventi appropriati di riabilitazione. Pensate quanti soldi si potrebbero risparmiare da una parte e spendere nella direzione giusta dall’altra”.

A questo punto Daniele Scalas riprende contatto coi responsabili di Villa Beretta, e scopre che la pratica relativa al ricovero di suo figlio è rimasta insabbiata una volta riportata in Sardegna. Riesce a rimetterla in moto, ma solo per ritrovarsi, poco dopo, in una situazione apparentemente senza vie di uscita. La situazione è la seguente: la degenza a Villa Beretta costa 800mila al giorno, con uno “sconto” del 15% dopo il 60° giorno di ricovero; la Regione Sardegna, in base ai parametri del piano sanitario nazionale per la riabilitazione, è disposta a indennizzare solo 590mila lire al giorno, e dopo il 60° giorno di ricovero riduce il contributo del 40%. “Non c’è problema -dice il signor Scalas, che ha incassato una certa somma dall’assicurazione per l’incidente a Donatello- la differenza ce la mettiamo noi”. “Non dovete trattare con noi, ma con la Regione”, dicono a Villa Beretta. “Non potete concorrere alla copertura dei costi in un caso come questo: la legge non lo prevede”, dicono alla Regione Sardegna. E allora? Allora o gli Scalas trovano un centro di riabilitazione che costa solo 590mila lire al giorno, o la Sardegna mette a bilancio in un capitolo speciale la spesa per la degenza di Donatello a Villa Beretta, oppure si va di nuovo all’estero e si chiede il concorso alle spese. Ma fino ad oggi la Regione non ha ancora deliberato la spesa per il ricovero di Donatello in Lombardia, temendo di violare direttive del piano sanitario nazionale e di provocare un intervento della Corte dei Conti. Restano le opzioni di Innsbruck e Lione: “Ma perché dobbiamo andare all’estero, al costo di un milione e mezzo al giorno, quando potremmo avere lo stesso servizio con lo stesso standard qui in Italia pagando quasi la metà?”, dice Daniele Scalas, che ancora non ha visto nemmeno una lira di rimborso dei 200 milioni che ha anticipato per le cure a Innsbruck nel ‘95. Già, perché? Forse perché al sistema sanitario italiano, nazionale e regionale, della salute di Donatello e di quelli come lui importa troppo poco.

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