DOMANDE SENZA RISPOSTA

Sono un giovane neolaureato in lettere

«Sono un giovane neolaureato in lettere. Ho frequentato questa facoltà già deciso ad orientarmi verso l’insegnamento. Sono stato fortunato, perché da due anni insegno in una scuola paritaria di Milano, che, decidendo di investire su di me, mi sta accompagnando nell’imparare il mestiere. La scoperta più grande che ho fatto dopo la laurea è che, in barba alla passione, alle metodologie, alla didattica, insegnare è bello solo se si ha qualcosa da insegnare e se questo qualcosa contribuisce alla crescita umana mia e di chi si ha in classe. Scoperta tanto grande quanto apparentemente scontata. La seconda scoperta che ho fatto è che alla Ssis (la scuola che dopo due anni mi darà l’abilitazione) non si può dare niente per scontato. Nel luogo che dovrebbe formare i futuri insegnanti si insegna che la scuola è pura burocrazia (e che quindi il problema è come cavarsela…), che la ricerca della verità è un atteggiamento pericoloso perché integralista, che l’insegnamento sono i metodi, le pedagogie, le attività che possano far digerire quelle pastiglie così amare e così “lontane dal mondo dei giovani d’oggi” che sono i contenuti (insomma: facciamoli giocare col latino, così almeno si divertono e non ci sbattono in faccia la pura verità: che il latino gli fa schifo). Risultato: la domanda riguardo cosa insegniamo e a cosa serve quello che insegniamo è sempre e sistematicamente elusa. Domanda scomoda forse perché nessuno dei nostri docenti sa cosa rispondere. Al di là di tutto è questo che mi sconcerta». È la lettera-appello di un ragazzo che ha la passione per l’insegnamento. Ce ne sono ancora molti. Ma i corsi di specializzazione sembrano fatti apposta per distruggerla. Mentre nelle scuole, statali e paritarie, ci sono insegnanti che non aspettano altro che di consegnare ai giovani i ferri del mestiere, insieme al gusto di esercitarlo. A Roma intanto si sta discutendo sul nuovo sistema di formazione. C’è chi vuole affidarla totalmente alle università, con un anno di prova ridotto, come oggi, a formalità. E chi vuole lasciare alle scuole l’ultima parola, dopo un anno di praticantato decisivo, sia per la formazione sia per la valutazione. Noi stiamo con i secondi.

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